"Parte a sparare e prende questo ragazzo, la vecchierella non la vedono proprio"

Le vessazioni ai parenti di Casadibari dopo essere entrato in programma protezione, le dichiarazioni impressionanti di Vito Tarullo in cella con Sabba

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Non era di certo il 20enne Giuseppe Casadibari l’obiettivo dei sicari che la mattina del 30 dicembre scorso percorsero le strade del centro storico sparando all’impazzata su via Le Marteri e l’arco di Sant’Andrea.

Ne bastava uno, a caso, uno di loro e niente di più. Non importava chi si sarebbe trovato di mezzo, se ci fossero stati passanti innocenti come invece è accaduto.

Ma l’essere lì “per caso” di Casadibari, non ha certo lasciato totalmente indenne la sua famiglia. Un prolungato ricovero del ferito, l’improvviso allontanamento dei parenti dalle loro abitazioni nel borgo antico “innescavano la reazione dei vertici del sodalizio di appartenenza dello stesso Casadibari, quello dei Cipriano, nel timore che il ragazzo ferito stesse collaborando con gli inquirenti”, così come riporta La Gazzetta del Mezzogiorno di ieri.

E va da sé ciò che accadde nell’abitazione di Casadibari “devastata” da ignoti (leggi qui: http://bit.ly/2qY2tBW). Insomma, se Sabba e Papaleo sono finiti in carcere con l’accusa di aver ferito il giovane e ucciso per errore l’innocente Anna Rosa Tarantino (leggi qui: http://bit.ly/2DzDQMJ), dall’altro lato Benito Ruggiero, Michele Rizzo e Arcangelo Zamparino (al momento solo indagato) sono accusati di violenza privata perché “tentavano di costringere” un parente del giovane ferito a rivelare il luogo – noto solo al Servizio di protezione testimoni – in cui il pentito e i famigliari più stretti si erano rifugiati, “chiedendo con insistenza se Giuseppe avesse cantato”.

“Hai visto che lo hanno saputo già questi?” si lamenta un parente del 20enne parlando con sua moglie dopo una visita sgradita. Sì, perché c’era anche chi “passava alla guida di un ciclomotore sotto il balcone dell’abitazione” di un famigliare e “mimava con la mano il gesto di sparare con una pistola, indirizzandolo a quest’ultimo che era affacciato”. Il giudice, sostenendo che le minacce fossero aggravate dal metodo mafioso, sottolinea la “particolare coartazione psicologica e lo stato di assoggettamento” subito.

E sulle colonne del quotidiano viene riportato anche il racconto dell’altro pentito, Vito Antonio Tarullo, che riferisce agli investigatori circostanze apprese in cella da Sabba circa ciò che successe alle 8.30 del 30 dicembre in via Le Martiri: “Michele Sabba già parte a sparare e prendono questo ragazzo, dice che come prendono questo ragazzo la vecchierella non la vedono proprio (…). E niente, incominciano a sparare e Papaleo spara anche lui insieme a lui”.