“Petappe”, la commedia scritta da Gaetano Coviello fa il pieno di spettatori

La storia è stata portata in scena dal gruppo teatrale bitontino “La Nuova Compagnia”, presso l’Auditorium Degennaro, in quattro spettacoli andati in scena nei giorni 21 e 22 maggio scorsi

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Due giorni di una spassosa commedia ambientata nella Bitontoanni cinquanta finiscono per dire di un teatro di prosa, quello amatoriale, e vernacolare, che ha ancora tanto da raccontare al suo pubblico odierno.

Petâppe (soprannome onomatopeico affibbiato al personaggio del lustrascarpe, aduso a sputacchiare sulle calzature dei suoi clienti, prima di lucidarle) è il titolo della commedia in due atti che il prof. Gaetano Coviello ha scritto ispirandosi ad un vissuto di Cosimo Bellifemine, decano dei gelatai bitontini. La storia è stata portata sul palcoscenico dal gruppo teatrale bitontino “La Nuova Compagnia”, presso l’Auditorium Degennaro, in quattro spettacoli andati in scena nei giorni 21 e 22 maggio scorsi.

Alla brava Grazia Coviello, regista dello spettacolo,va l’indubbio merito di aver tenuto insieme, con scrupolo certosino, trama e ordito di scena, musica e degli incalzanti dialoghi tra i personaggi, la cui vis comica è sembrata caricata ad arte, specie in alcune scene davvero pittoresche.

Tutti, più o meno (in)volontariamente paiono gravitare attorno al gelataio Bellifemine, che col suo carretto dei gelati diviene il vero e proprio baricentro ombelicale di tutta la narrazione. Buon biglietto da visita si rivela la scenografia, che sa avvicendare gli ambienti domestici piccolo-borghesi di una sessantina d’anni fa, con le gigantografie di una romantica Bitonto d’antan, che si fa rimpiangere per quelle sue strade ancora ignare della futura congestione automobilistica.

In nessun caso si corre il rischio della claustrofobia e, anzi, la visuale da cui si gode la scena è spesso quella della piazza o della strada, solcate dall’incedere felpato e sognante di quel carretto dei gelati, autentico wishing well di tanti bambini golosi.

A muovere i fili della trama è, una volta di più, l’Amore, primum movensdi ogni umana vicissitudine. Nella saga familiare dei Bellifemine si affaccia l’agognato fidanzamento, venato di mille antiche romanticherie, tra Vito (Petâppe, il lustrascarpe, figlio di Cosimo, ottime movenze e aplomb di attore scafato) e Valentina, inevitabilmente affettata nei suoi melati approcci, quanto efficace nella recitazione dialogica.

A dotare la commedia del giusto corredo di equivoci ci pensa Cosimo Bellifemine, alias Alfonso Giammarelli, che dimostra buona armonia di gestualità e mimica vocale, con cui riempie le scene interpretando il ruolo di protagonista da vero mattatore.

A mano a mano che la storia d’amore di Valentina e Vito s’intreccia, inframmezzata ai grevi luoghi comuni dell’epoca, si spande nell’Auditorium gremito di spettatori una sorta di tensione d’ilarità che poi si scioglie in reiterate esplosioni di risa scompisciate.

Bravi gli attori (il cui ossequio al copione non ha impedito alcune divagazioni), a restituire intatte le peculiarità dei diversi personaggi in scena. Da Giovanni “U ‘pr:cein’ ai genitori dei due fidanzati, al nonno di Petâppe, ai curiosi figuri della Bitonto che fu, come il sensale combina-matrimoni, o l’amata di un tempo, ritrovata in veste di femme fatale, o l’improbabile e chiassoso guappo di quartiere, imbonitore del nulla, nessuno si distrae, o si smarrisce nella mappa dell’opera; ciascuno recita il suo copione, consapevole di dover riannodare l’ingarbugliato filo logico di un racconto di cui è parte integrante cruciale. La suggestione della narrazione e l’accortezza della regia stanno proprio nella giusta forgia delle individualità in gioco, come in una sorta di puzzle in cui non v’è tassello marginale o inutile, poiché ciascuno è decisivo per il destino di qualcun altro.

C’è indubbiamente del tragicomico in tutto questo, una sociologia del fatalismo e della colpa di cui non è facile liberarsi. Non basta un mediatore a far trionfare l’Amore, serve l’espediente pratico per ovviare alla villana ritrosia delle famiglie e alle convenzioni del “politicamente corretto”. Valentina, arrossendo davanti a tutti, dice di aspettare un bambino, ed è così, solo così, che potrà finalmente convolare a “giuste” nozze con l’amato Vito.

L’attore Vito Carnicelli parla di una “bellissima vibrazione del palco, anche se non è per niente facile portare sulla scena una storia dopo averla provata per mesi, in accordo con le esigenze delle nostre vite private. Lo diventa se pensiamo, in fondo, che il nostro scopo è duplice, divertire e divertirci”. Alfonso Giammarelli non ha dubbi: “Abbiamo un’ottima regista, e un autore che si prodiga molto per la compagnia; e abbiamo degli attori nati, che entrano con grande naturalezza nel loro personaggio”.

Anche per Valentina Maggio: “Tra noi attori c’è una tale amicizia e una tale complicità che si finisce quasi per non recitare, e anche una risata riesce sempre spontanea”. L’ottimo Benny  Romito riferisce di “un personaggio (il nonno di Petâppe) non casuale e solo apparentemente ai bordi della scena. Non è il singolo che determina la riuscita della scena ma tutto il complesso”.

Al termine della prima, appare felice Grazia Coviello, regista della commedia, secondo cui “E’ stato un lavoro di regia abbastanza complesso, poiché adeguare un testo ai personaggi e ai modi di realizzazione delle scene è un lavoro delicato con cui si cerca di rendere al meglio quel che richiede il copione”.

L’autore Gaetano Coviello riferisce che “dopo aver raccolto tutte le emozioni palpitanti di attori, regista e di Cosimo Bellifemine che ha voluto narrare la propria infanzia, mi è venuto un gran desiderio di scrivere ancora”.

Infine Cosimo Bellifemine, il cui vissuto ha ispirato l’autore, chiude: “Rivedere sul palcoscenico scene della mia vita, e in particolare della mia infanzia, mi ha fatto accapponare la pelle. La recitazione degli attori è stata stupenda e ha colto con naturalezza molti aspetti della mia storia familiare”.