Il pensiero di Berlinguer a trent'anni dalla morte. Gianni Cuperlo ricorda il leader comunista

L'ex candidato alle primarie per la segreteria Pd è intervenuto alla Festa dell'Unità, con Dario Ginefra e Mario Loizzo

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L’11 giugno di trenta anni fa moriva a Padova il segretario del Partito Comunista Enrico Berlinguer. Il Partito Democratico di Bitonto ha voluto celebrare l’anniversario e ricordare la figura dello storico leader comunista, durante la Festa dell’Unità.
A parlarne sono intervenuti il consigliere regionale Mario Loizzo e i deputati Pd Dario Ginefra e Gianni Cuperlo.
La sua figura dava il senso di una comunità che non era legata solo da una tessera di partito, ma da un sentire comune, una sorta di cervello collettivo. Una comunità che non ha mai rinunciato a svolgere la sua funzione” introduce Ginefra, ricordando come le idee di Berlinguer abbiano fortemente contribuito alla nascita della passione per la politica: “Il suo grande merito fu rompere quello staccato che comportava l’incomunicabilità tra le forze politiche. Dobbiamo molto a Berlinguer, non solo in termini di esperienza politica, ma per il suo modo di interpretare e di vivere la realtà”.
Quello che dovremmo ricordare, in questi tempi di antipolitica, di regressione civile e morale, è la sua capacità di approcciarsi alle questioni, anche le più semplici, con grande capacità di analisi. La sua è una politica basata su studio e approfondimento” ricorda invece Loizzo, biasimando la superficialità e la disinvoltura con cui, oggi, molti esponenti politici affrontano i temi dell’agenda politica: “Quello che diceva Berlinguer era apprezzato perché dietro c’era un pensiero mediato, studiato. E’ un bene che i giovani si approccino alla politica. Spero che lo facciano con questo spirito. Nei circoli si deve recuperare questo studio, dalle questioni ambientali a quelle legate al lavoro, alle politiche industriali”.
“La sua figura appartiene ad una generazione che la politica l’ha scoperta e vissuta. La data dell’11 giugno ’84 fu per molti di noi, una data spartiacque, un passaggio all’età adulta” sottolinea, invece, Gianni Cuperlo, ricordando come l’emozione per la sua scomparsa sia stata forte non solo nel mondo comunista.
Avemmo la sensazione che con lui scomparisse non solo un grande leader, ma un uomo politico, con la sua capacità di spiegare le ragioni di una strategia – continua l’ex candidato alle primarie del Pd – Il suo linguaggio era molto pacato, più moderato dei sentimenti che albergavano nell’elettorato. Questo non era solo una questione di stile, di bon ton, ma era frutto della consapevolezza che una delle funzioni della politica fosse instradare le persone lungo la via costituzionale. La generazione di politici successiva ha, invece, pensato di alzare la voce, per compensare il deficit di cultura politica, di analisi. E tutto questo non poteva che indebolire la politica”.
Sotto accusa, da parte di Cuperlo, è anche la personalizzazione della politica odierna, colpevole di aver diffuso la percezione dell’inutilità della politica, indebolendola ulteriormente: “La sua scomparsa non sancì la fine del Pci, nonostante per tanti motivi fosse già un partito in crisi. Non c’era alcuna identificazione tra il destino di un singolo leader e quello di una comunità. Oggi invece si tende a delegare tutto a qualcuno particolarmente brillante che si pensa possa risolvere tutto”.
La sua strategia consisteva nel portare il Pci alla responsabilità di governo. Un progetto venuto meno con la morte di Moro, quando altre forze politiche sono tornate alla pregiudiziale anti-comunista” sottolinea Cuperlo, ricordando anche la figura di Bettino Craxi: “Grande uomo politico che, tuttavia, pensò che un’alleanza con il Pci avrebbe creato subalternità per il Psi. Così individuò una strada per trasformare i socialisti in ago della bilancia. Berlinguer lo considerò un tradimento. La frattura si era consumata”.
Di Berlinguer voglio ricordare il pacifismo, l’ambientalismo, l’enfasi per i diritti soprattutto la capacità di pensare al futuro – afferma – Non è vero che, vista l’erosione del consenso, la crisi del partito e la sconfitta della sua strategia, ripiegò su una politica minoritaria. La sua forza era la capacità di guardare oltre, nella consapevolezza che la politica non può essere ridotta alla gestione pragmatica del presente, al buon governo. La forza della politica è nella profezia, non nel profeta”.
Per concludere, Cuperlo  illustra il proprio pensiero sulla crisi, “frutto non delle responsabilità dei singoli politici, ma di una visione fallimentare dell’economia, che ha posto il denaro sopra ogni cosa” e sull’operato del governo, “che sta facendo molto per adottare riforme vitali per la nostra epoca”.