Il tempo senza un "orologio" è solo un tedioso ed interminabile destino

Il tempo risiede in noi, creature di Dio, le quali poniamo le fondamenta per un concetto misurativo che in realtà, fuori dal nostro io, non esisterebbe

Il tempo, come abbiamo visto nell’articolo precedente, risulta presentarsi nell’esistenza dell’uomo come il misurante dell’essere e dell’esistenza del movimento; il fatto di essere “presenti” attesta che è il tempo stesso a scandire gli attimi del nostro esistere.

L’uomo vive in successivi e infiniti istanti temporali e come tale subisce delle affezioni: attraverso la natura possiamo dedurne che causa della corruzione è il tempo, il quale modifica continuamente ciò che precedentemente era stabile nella sua quiete. Questo spiegherebbe inoltre come l’opposto di ciò che è temporale risulti essere l’eterno: viene definita eterna qualcosa che non viene ghermita dalla capacità corruttibile del flusso temporale.

L’articolo del mese scorso terminava con una netta dichiarazione: è l’anima colei che misura il tempo. Attraverso l’anima deduciamo il tempo non semplicemente come fuggevole e inafferrabile ma come una vera e propria affezione del movimento. La nostra esperienza del mondo attraverso la nostra capacità più propria di misurazione è il modo della temporalità; senza siffatta capacità risulterebbe impossibile l’esistenza stessa del tempo; è l’uomo che lo determina e ne pone le basi per formularne un concetto.

L’anima ci permette di sperimentare il consumarsi dell’istante, il divenire; di conoscere qualcosa fuori dal nostro io come il mondo; ci permette di categorizzare le varie esperienze, i vari modi di essere; inoltre ci pone in grado di prendere in considerazione ciò che si manifesta ai nostri sensi.

In Agostino d’Ippona, il Doctor Gratiae del V secolo, precisamente nelle sue Confessioni, il tempo viene descritto come distensio animi, ovvero un movimento stesso della “psychè”, l’essenza originaria di quest’ultima.

Questa nozione mette in luce il fattore temporale intrinseco nella natura dell’anima umana: l’uomo, secondo il filosofo cristiano, è permeato dalla memoria verso gli accadimenti passati, dall’attenzione rivolta al presente e dall’interminabile attesa del futuro. Così si potrebbe affermare che l’origine del senso del tempo altro non sia se non l’esperienza che puntualmente viene “registrata” nel nostra mente. La svolta risiede appunto nella percezione soggettiva: il tempo risiede in noi, creature di Dio, le quali poniamo le fondamenta per un concetto misurativo che in realtà, fuori dal nostro io, non esisterebbe.

Questa visione risulta essere decisiva per lo sviluppo filosofico di molti pensatori successivi, uno tra i tanti Henri Bergson, il quale ammetteva l’indivisibilità del flusso temporale sperimentabile esclusivamente nella coscienza di ogni singolo individuo e nettamente differente dal concetto offertoci dalla scienza. Un evento sarebbe dunque misurabile in maniera standard dal punto di vista scientifico, mentre risulterebbe variabile dal punto di vista soggettivo, influenzabile a seconda degli stati d’animo: ad esempio, un individuo spazientito percepirebbe una piccola attesa come una pausa lenta e straziante.

Un atteggiamento simile però inevitabilmente prepara la strada ad una corrente tipica dell’età contemporanea: il relativismo. Attraverso l’introduzione e l’accettazione della teoria della relatività, figlia di Albert Einstein, il concetto di tempo viene smantellato: ogni evento avrà coordinate spazio-temporali solo in funzione del punto di vista dell’osservatore.

Come si potrebbe allora definire il tempo? Forse si dovrebbe parlare di “struttura di possibilità”, come il filosofo tedesco Martin Heidegger, nel suo Essere e Tempo datato 1927, sembra illustrarci.
Qui il tempo viene rappresentato come un circolo in base al quale ciò che si progetta per il futuro è già accaduto in passato e viceversa, lasciando spazio così ad un rinnovo eterno della possibilità, autentica e inautentica.

Tirando le somme dell’argomentazione, una definizione si potrebbe enunciare: nonostante i macchinosi concetti venutisi a formulare coi secoli, dal punto di vista filosofico, il tempo si presenta sicuramente come un fattore individuale e collettivo in grado di dare un senso alla nostra esistenza, la quale senza un “orologio” risulterebbe solo pervasa da un tedioso ed interminabile destino.