Bitontini all'estero / La storia di Dario Genchi, il 23enne che si occupa di informatica in India

"Qui i professori e collaboratori combattono ogni giorno per permettere ai loro studenti di accedere ad un livello di istruzione che possa aiutarli a spiccare il volo"

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Dario Genchi, bitontino appena 23enne laureato all’Università degli Studi di Bari “A. Moro” in Marketing Management & Communication, dall’ottobre 2017 vive a Bangalore in India dove lavora per Tata Consultancy Services, un’azienda che si occupa di informatica.

Un tempo eravamo compagni di scuola e abbiamo condiviso corridoi, assemblee, gioie e paure di un tempo che sembra ormai lontano. Era uno studente senza pensieri e con un po’ di follia tra testa e cuore.

Come pensi di essere cresciuto e maturato in questo periodo della tua vita? «Sono sicuramente cambiato molto a causa di tutte le esperienze che ho dovuto affrontare in questi ultimi anni: dalla scomparsa del mio caro amico Alessandro, fino alla meravigliosa avventura che sto vivendo qui in India, passando per il percorso universitario e le varie esperienze all’estero. Inutile dire che ho sempre cercato di trarre insegnamenti positivi da tutto ciò che ho vissuto, cercando quindi di gestire e veicolare le mie energie verso qualcosa di utile e produttivo. Quando ero al liceo beh, non mi interrogavo più di tanto su ciò che mi passava per la testa semplicemente perché ero convinto avrei dovuto approfittare di quegli anni per fare tutto ciò che altrimenti non avrei potuto fare in età avanzata: dal sedere mostrato alla Polizia stradale dal finestrino dell’autobus che ci accompagnava in gita scolastica, all’ occupazione pacifica del 2013 passando per le varie assemblee autogestite e la rappresentanza d’istituto. Quel che rimane ora è solo immensa soddisfazione e gratitudine nei confronti di tutti coloro i quali hanno partecipato, in positivo o negativo, a quelle esperienze. Questa è la motivazione per la quale sono ancora molto legato agli anni della scuola scuola e a tutte le persone con cui ho condiviso almeno 5 ore al giorno per 5 anni della mia vita».

Lavori in India. Ci sono restrizioni culturali, enogastronomiche con cui ti sei scontrato? «L’India è un Paese meraviglioso, ma che inevitabilmente impone delle barriere con le quali bisogna fare i conti. Dal punto di vista della cucina basti pensare che il 95% dei piatti tradizionali sono super piccanti e conditi con qualsiasi tipo di spezie. Ma come per tutte le cose, c’e’ sempre una spiegazione. A tal proposito un anziano signore che ho incontrato mentre ero in vacanza a Goa (regione costiera dell’ India) me lo ha spiegato: l’India è un Paese povero (anche se coinvolto in un rapido sviluppo) e per questo gli abitanti hanno sempre dovuto fare i conti con la fame e con l’inaccessibilità ad una ampia gamma di prodotti. La conseguenza è che, sebbene utilizzino sempre gli stessi prodotti (riso, pollo e uova), sono in grado di dar vita a diversi piatti semplicemente utilizzando mix di spezie sempre diverse. Per quanto riguarda la cultura beh, potrei iniziare ora e non aver il tempo di concludere. Il 90% della popolazione è induista, una religione politeista che permette ad ognuno di venerare la divinità più conforme ai propri principi. Inoltre, sento la necessità di condividere con voi la delusione che ho provato quando ho realizzato che qui, in India, si parlano di fatto più di 1500 lingue diverse delle quali solo 22 sono ufficialmente riconosciute».

Cosa hai portato di "bitontino" con te? «Questo è davvero un tasto dolente poiché tutto ciò che mi sono portato di bitontino è ormai terminato! C’e’ voluto un po’ affinché capissi che avrei potuto procurarmi qualcosa di simile anche qua. Impossibile partire senza l’insostituibile busta di taralli che, naturalmente, è unica nel mondo e senza il litro di olio extravergine bitontino che ho potuto trovare anche qui a Bangalore ( terra di Bari) e la moka per il doveroso caffè post pranzo».

La cosa che ti piace di più e quella che ti piace di meno? «Difficile stabilire la cosa che mi piace di più, ma mi risulta molto semplice individuare quella che mi piace di meno (o che non mi piace proprio). Quello che mi ha cambiato l’esistenza è che qui la gente si accontenta di poco, non hanno bisogno dell’ultimo smartphone, né della scarpa alla moda. La maggior parte della gente qui vive di nulla ma non smette mai di sorridere, anche quando a mal la pena si riescono a racimolare i pochi spiccioli per il pasto quotidiano. A tal proposito sento il bisogno di condividere una delle esperienze più toccanti che abbia mai vissuto: a Dicembre, in prossimità delle feste natalizie ho partecipato ad una delle tante attività di CSR organizzate dall’azienda per la quale lavoro (Responsabilità sociale dell’ impresa). Siamo stati ospitati da una delle tantissime scuole pubbliche dove i professori e collaboratori combattono ogni giorno per permettere ai loro studenti (quasi tutti orfani o provenienti da famiglie disagiate) di accedere ad un livello di istruzione che possa aiutarli a spiccare il volo e, perché no, a realizzare i propri sogni. Tuttavia, ciò che non mi piace e che non riesco assolutamente ad accettare è lo scarso (se non inesistente) rispetto nei confronti del diverso e della donna. Qui ho sperimentato il più alto tasso di discriminazione nei confronti delle persone di colore e disabili per non parlare della scarsa considerazione sociale della figura femminile».

Ti occupi di computer, tecnologia, è forse quella la parte del mondo in cui si sta investendo in questo campo?  «Beh, come tutti ben sanno, l’India fa parte del c.d BRICS, acronimo che comprende tutti i Paesi il quale sviluppo risulta essere particolarmente rapido e costante. Inoltre, questa è sicuramente una delle nazioni in cui si investe di più in Information Technologies e Computer Sciences, ma in particolare qui, a Bangalore, è presente un esercito di aziende IT e start-up ad alto potenziale tecnologico. (motivazione per la quale Bangalore è chiamata la Silicon Valley dell’India)».

Tornerai a casa per portare un po' della tua conoscenza, esperienza? Che obiettivi hai per il futuro?  «Questa è una domanda che mi tocca molto perché di certo il mio sogno è quello di tornare nel mio Paese del quale riconosco l’eccellenza e la rarità per condividere le mie esperienze e conoscenze ma, come ben sappiamo, le opportunità nel Belpaese non sono certo le stesse che si possono trovare all’estero. Tuttavia, nel mio piano futuro c’e’ ancora tanta, ma tanta esperienza all’estero, dopo la quale spero di poter essere abbastanza qualificato  per tornare in Italia e giocare un ruolo attivo in una nazione che DEVE risollevarsi. Perciò il prossimo obiettivo è laurearmi nuovamente conseguendo una laurea specialistica in Europa, probabilmente in Belgio o Francia».

In cosa credi che l'Italia debba ancora investire per portare i giovani a non andare via? «È qui che volevo arrivare. L’Italia dovrebbe credere nei propri ragazzi, dovrebbe aver fiducia nelle loro capacità e potenzialità. Ciò di cui sentiamo il bisogno è sapere che lo Stato creda in noi in quanto persone, in quanto studenti che perseguono obiettivi e sogni e sentire che questi, con il duro lavoro e il costante impegno, possano diventare realtà. L’Italia, quindi, dovrebbe investire risorse nei propri studenti, ma non solo. Dovrebbe stimolare e credere che le persone possono fare la differenza. Questa magnifica nazione può davvero tornare a giocare un ruolo fondamentale nelle dinamiche socio-politiche internazionali».