Bitonto da Riscoprire/Il pagliaro di Vincenzo Mininni, roccaforte dei briganti bitontini

Il fenomeno del brigantaggio si era già radicato a Bitonto alla fine del XVIII secolo con i briganti Filippo Santamaria, Giovanni Ventafridda, Gaetano Cuoccio, Francesco Cicciomessere e Giacò (Bagiacco)

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In contrada “Monte di Spoto”, percorrendo “via di sotto”, giunti nei pressi di “Torre Carriere”, dalla strada si intravedono nell’adiacente fondo i resti di una rustica fabbrica simile ad un tozzo fortilizio circondato da numerose piante d’ulivo. Trattasi del famoso “pagghiàre d’Venginze Minìnni”, caratteristica struttura rurale trulliforme, risalente agli inizi dell’800, appartenuta all’omonima famiglia, caratterizzata da un paramento murario realizzato tramite l’utilizzo dell’abbondante pietra calcarea “dolomia” di colore grigio ocra. A prima vista il “pagliaro” appare come uno di quei comunissimi ricoveri utilizzati dai contadini per rifugiarvisi durante le intemperie e depositare gli attrezzi agricoli. Tuttavia, tale struttura, posizionata in una posizione strategica, non lontano dall’antica via Appia, per le sue dimensioni e per sua originaria conformazione interna differente rispetto ai “pagliari” usuali, costituiva una “base occasionale” per le scorrerie dei briganti stabilitisi in zona, nella quale bivaccavano, si addestravano al tiro e preparavano gli agguati. Il fenomeno del brigantaggio, piaga secolare dell’Italia Meridionale, si era già radicato a Bitonto alla fine del XVIII secolo, quando i briganti “Filippo Santamaria”, “Giovanni Ventafridda”, “Gaetano Cuoccio”, “Francesco Cicciomessere” e “Giacò” (Bagiacco), con le loro bande dilagavano nelle campagne assaltando corriere, depredando granai, capi di bestiame, rapinando ed assassinando contadini e viandanti. La struttura, di forma circolare, caratterizzata da una serie di corsi concentrici di chiancarelle che, compattate ad incastro, reggono una grande volta di forma conica, rappresentava uno dei più sofisticati sistemi di appostamento brigantesco. Un piccolo ingresso rettangolare dà l’accesso all’interno in passato suddiviso in due vani. Il primo vano era caratterizzato da una nicchia utilizzata come mangiatoia e da una finestrella utilizzata dai briganti come punto di osservazione sul territorio circostante. Il secondo vano era caratterizzato da un sofisticato sistema di appostamento suddiviso in due piccoli vani, uno superiore e l’atro inferiore. Quello inferiore era formato da un piccolo e basso corridoio lungo circa un metro e mezzo il quale si biforca da un lato su di una feritoia quadrangolare esterna necessaria per sparare o sgattaiolare fuori, dall’atro sboccava su un piccolo foro interno usato per puntare contro qualche sventurato ivi entrato. In questo stesso vano si apriva nel suolo un piccolo pozzetto utilizzato presumibilmente per nascondere armi o refurtiva, tutt’oggi esistente. Anche il vano superiore era caratterizzato da un corridoio con due biforcazioni con affaccio esterno ed interno, ma questo era strettissimo è consentiva al brigate di tenere sotto controllo la situazione distendendosi e strisciando a pancia in giù. Esternamente sui muri perimetrali di ambo i lati due rampe di gradinate ottenute da chiancarelle aggettanti, permettono di raggiungere due nicchie utilizzate dai briganti per appostarvisi restando al riparo. Attualmente, questa caratteristica struttura, di proprietà del signor Vito Coviello, purtroppo mutata nel tempo a causa di vari crolli interni, meriterebbe di essere ristrutturata, rivalutata e resa fruibile a tutti, dotandola di apposito cartello identificativo-descrittivo ed inserendola in un percorso di visite campestri. Pasquale Fallacara