Ex Ilva di Taranto. La storia e il futuro nell'analisi dello storico Salvatore Romeo

Uno stabilimento "troppo importante e strategico per essere lasciato ai privati", secondo il professor Michele Capriati

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Quello del siderurgico di Taranto è un argomento da sempre al centro delle cronache quotidiane, sia locali che nazionali, essendo la maggiore acciaieria nazionale. Un argomento complesso, che abbraccia diversi ambiti, da quello economico a quello ambientale, da quello della sicurezza sul lavoro a quello della lotta per i diritti dei lavoratori. Un argomento di non facile comprensione, riassunto dallo storico Salvatore Romeo in “L’acciaio in fumo”, libro che racconta la storia dell’acciaieria, sin dal 1945, quando questa non era stata ancora realizzata. Un libro presentato giovedì nella sede dell’associazione culturale Left.

Nell’analisi dell’autore, si intrecciano politica e storia sociale. Compresi gli ultimi risvolti: prima con l’era Riva e poi l’ingresso di Arcelor Mittal, infatti, si è creata una frattura che ha assunto una forma di conflitto fra ambiente e lavoro, fra fabbrica e città. Uno stallo per il quale ancora non si vede all’orizzonte una via d’uscita.

«La vicenda dell’ex Ilva ha segnato in maniera decisiva la storia recente di Taranto, sin dal dopoguerra, sin da prima che, negli anni ’60, si insediasse la fabbrica. È una storia strettamente legata a quella della città ionica dell’Italia, perché da subito è un grande stabilimento produttivo di importanza strategico per l'economia nazionale. Quindi la sua storia si intreccia con quella italiana e ovviamente con tutto quello che succede nel mondo» spiega l’autore, non risparmiando considerazioni su quello che dovrebbe essere il futuro della vicenda, alla luce degli ultimi risvolti: «È una situazione molto confusa e purtroppo sono più gli elementi oscuri che quelli chiari. Bisognerà vedere, in sostanza, che cosa emergerà da questa trattativa tra governo e Mittal soprattutto se governo con riterrà che Mittal sia ancora un investitore affidabile. Dopo quello che è successo penso che su questo elemento si debba riflettere seriamente».

Un futuro che, sia per l’autore, che per Michele Capriati, docente di Politica Economica all’Università di Bari e ospite della serata, dovrebbe essere pubblico. E non può essere la chiusura dall’oggi al domani.

«Il siderurgico tarantino è troppo importante e strategico per l’economia nazionale per lasciarlo in mano ai primati, che per natura non hanno un’ottica di lungo respiro» è l’idea di Capriati, che, ricordando l’esempio del siderurgico Thyssen-Krupp di Duisburg, in Germania, citato anche dall’autore nelle pagine del libro, sottolinea come sia possibile abbattere le emissioni inquinanti.

La Thyssen-Krupp di Duisburg, infatti, ha iniziato a ridurre le emissioni inquinanti nel 2006, con un investimento di 317 milioni all’anno.

Ma per i due relatori solo una gestione pubblica può spingere in questa direzione, come dimostrerebbero anche i risultati raggiunti negli ultimi anni in tema di monitoraggio e lotta all’inquinamento, frutto dell’azione pubblica, «non certo di imprenditori illuminati».