Il Trappeto del Feudo, la struttura produttiva degli "Scaraggi" sull'antica via della Marina | Foto

All’interno dell'edificio del XIII secolo, si possono ancora osservare resti di macine, cisterne, basi di torchi, ed un focolare.

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Vetusta struttura produttiva situata in agro bitontino sull’antica via della “Marina”, strada che congiungeva Bitonto con Santo Spirito, risale presumibilmente al XIII secolo. Composto da due ambienti rettangolari voltati a botte, uno riservato agli animali da lavoro e l’altro per la molitura, con tetto a spiovente con copertura a chiancarelle (sottili lamine di pietra), presenta un paramento murario costituito da pietre calcaree sbozzate a martello e disposte a filari con i piani di posa paralleli. All’interno di questo edificio produttivo si possono ancora osservare resti di macine, cisterne, basi di torchi, ed un focolare.  Alle due estremità della struttura produttiva si aprono alcune finestrelle, dalle quali era garantita sia l’illuminazione interna sia il riciclo dell’aria. Lungo le massicce mura si aprono numerosi ed ampi vani nei quali un tempo erano posizionate le presse. Il grande complesso, dotato di una capiente pescara, inserito nel “Feudo di Torricella”, apparteneva alla nobile famiglia “Scaraggi”, rappresentata araldicamente da uno scudo sul quale svetta un leone d’oro con ramo d’ulivo verde in campo rosso. In  passato il trappeto era  racchiuso in alte mura nelle quali si apriva un grande portale presumibilmente sormontato dal proprio stemma araldico. Gli “Scaraggi”, tra le più intrepide famiglie bitontine di agricoltori e commercianti, avevano allacciato rapporti con le più illustri famiglie commerciali del Nord-Italia, e le loro attività spaziavano dalla Dalmazia alla Schiavonia, dal Veneto al vicino Oriente. Alla morte di Polidoro Scaraggi il feudo passò in eredità alla figlia Violante che sposò il nobile Marcantonio Calò. A seguito di questo matrimonio il complesso assunse il toponimo di “Torre di Calò”. Consultando la “Platea dei beni del Convento di San Francesco d’Assisi di Bitonto”, alla voce “Oliveti, Amedoleti et Chiusi”, ritroviamo censito nel 1570 un “Oliveto di mezza vigna alla via vecchia della Marina nel trappeto di Calò”, identificabile con detta struttura. Quest’ultima famiglia, di nobili origini greche, a Bitonto ebbe breve esistenza  e si estinse nei Sylos con il matrimonio di Francesca Calò con Giovanni Roberto Sylos capostipite dei Sylos-Calò al quale venne ceduto questo complesso unitamente a tutta la “Baronia di Torricella”. Adiacente il trappeto attualmente vi residua l’antica cappella di San. Francesco menzionata in una seicentesca visita del Vescovo Alessandro Crescenzio (1659), il quale dispone: “che si ripristini la pietra sacra dell’altare, si ponga una tela cerata alla finestra e si chiuda a chiave”. Nella successiva visita di Mons. Gallo (1674), la cappella viene trovata ben ornata e dedicata a San Francesco. Nel 1400 e maggiormente nel 1500 la produzione dell’olio di oliva era estesa in tutto il meridione e specialmente in Puglia, in particolar modo a Bitonto, dove vi erano ben 300 frantoi disseminati nell’agro. Queste antiche strutture produttive rappresentavano non solo la fondamentale risorsa economica dell'antica provincia della Terra di Bari e della Terra d'Otranto, ma anche una delle principali fonti di ricchezza finanziaria del regno di Napoli attraverso le imposizioni fiscali sull'esportazione dell'olio. Attualmente il Trappeto del Feudo grazie a recenti lavori di restauro da parte del proprietario Dott. Stellaci sta ritornando pian piano al suo originario splendore.

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