In campagna come in città. L'incubo bitontino chiamato amianto senza fine. E senza risposte

Nonostante le segnalazioni e le denunce, il pericolo è ancora ampiamente presente

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La questione non nasce ieri e anzi, proprio per questo motivo, fa ancora più male doverne parlare.

Perché il problema, nonostante le segnalazioni, le denunce, le fotografie e tanto altro, non si riesce a risolvere. Sia per l’inciviltà dei cittadini ma anche perché chi dovrebbe provvedere manca di armi fondamentali: la volontà e risorse umane ed economiche. Anche se – ed è un altro grave aspetto – anche quando queste ultime ci sono, sono usati non come dovrebbero o non spesi proprio.

Stando a un lavoro di mappatura dei rifiuti abbandonati fatto nel 2020 (e in continua evoluzione) da alcuni ambientalisti e amanti del territorio, circa 140 punti di Bitonto (600 quelli passati in esame, e parliamo di zone rurali) sono pieni zeppi di amianto. Significa, allora, che l’agro bitontino è una discarica a cielo aperto dove incivili decidono di riversare molto spesso anche materiale nocivo all'ambiente e alla nostra salute. Leggasi, per esempio, bustoni contenenti la fibra, ritenuta responsabile dell'insorgenza di tumori del polmone e mesoteliomi, rifiuti sanitari, documentazione medica e tanto altro.

E la rimozione (quando e se viene effettuata) si dimostra inutile perché si torna a sporcare e inquinare peggio di prima.

In città, però, l’amianto non è presente soltanto nelle campagne, ma anche nella parte urbana perchè non sono affatto pochi i tetti (in amianto) parzialmente crollati, totalmente abbandonati e in stato fatiscente. Canne fumarie. Tubature d’acqua. Tutti enormi pericoli, appunto, per le fibre che rilasciano nell’aria. E basta salire sui punti più alti per accorgersene.

La rabbia nasce dal fatto che, tra discariche da bonificare, altre che rischiano di sorgere – vedasi Ferlive –, deposito incontrollato di rifiuti su aree pubbliche e private, roghi di rifiuti, livello di pm 10 nell’aria tutt’altro che basso, il problema ambiente c’è e va affrontato con decisione.

E il Comune, nonostante varie opportunità e fondi regionali, non sempre è stato all’altezza.

Nel 2014, per esempio, Bitonto è stato capofila di “Puglia eternit free”, la prima campagna regionale di informazione sul rischio legato all'amianto voluta da Legambiente e che prevedeva, tra le altre cose, un censimento obbligatorio in ogni centro abitato per permettere agli uffici regionali di elaborare una mappatura e un susseguente piano di bonifica e smaltimento organico dell’amianto.

Sempre nel 2014, Palazzo Gentile è risultato vincitore di un bando ad hoc proprio per la rimozione dei rifiuti in amianto in aree private. Una somma di 60mila euro (più altri 30mila di cofinanziamento) per interventi, però, da realizzare entro 18 mesi dall’erogazione.

Non si capisce, perché, però – e non è dato saperlo, purtroppo –, questi fondi non siano stati ancora utilizzati e neanche siano mai arrivati Avvisi pubblici per sostenere, con contributi a fondo perduto, privati cittadini che volessero e vogliano effettuare interventi di bonifica di amianto.

Nel frattempo, la stessa cifra è tornata nel Piano delle opere pubbliche triennali licenziato dalla Giunta qualche giorno fa.

La conseguenza? L’amianto è ancora qui. E fa paura. Non solo a Bitonto, perché in Puglia, secondo quanto affermato da Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto (Ona), dal 1993 al 2021 sono stati registrati 1600 casi di mesotelioma, con un tasso di mortalità superiore al 90 per cento

Interesserà a qualcuno?