La Riflessione/Voto in un giorno e scrutinio alla chiusura delle urne ovvero il massacro di presidenti e scrutatori

La decisione di far votare in un unico giorno fino alle ore 23 riduce i costi della politica, ma penalizza questi cittadini chiamati a prestare servizio alla comunità

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Giovani, precari, quasi tutti laureati: questo è il sottobosco da cui provengono i presidenti e soprattutto gli scrutatori dei seggi elettorali, allettati dalla possibilità di fare un’esperienza di democrazia o dalla necessità di portare a casa un piccolo (e ipocrita) guadagno. Anche nelle amministrative di domenica scorsa, questa manodopera praticamente gratuita si è piazzata nei posti assegnati dalla sorte, restandovi dalle 7 di domenica mattina al lunedì successivo per garantire il regolare svolgimento delle elezioni.

Raccapriccianti le storie che ci sono giunte dalla maggior parte dei 51 seggi dislocati tra Bitonto e frazioni (ma non è andata meglio nel resto d’Italia): schede contate e ricontate, conti che per la stanchezza non quadravano, scrutini chiusi alle 9,30 del lunedì. La decisione di far votare e scrutinare in un unico giorno, portando l’orario di chiusura dei seggi alle ore 23, se da un lato contribuisce a ridurre i costi della politica e favorisce l’elettorato, dall’altro penalizza fortemente questi cittadini chiamati a prestare servizio alla comunità. Stiamo parlando, in sostanza, di più venti ore di permanenza nei seggi, per un lavoro che richiede un livello di attenzione e un carico di responsabilità non indifferenti. Sono tempi decisamente inumani, che trasformano in un incubo quella che dovrebbe soltanto essere una piacevole esperienza di partecipazione. Tempi che tra l’altro vanno ben oltre quelli di altri paesi europei.

In Francia, Belgio, Svizzera e Norvegia si vota solitamente dalle 8 alle 19 (nelle recenti presidenziali francesi qualche comune più grande si è spinto fino alle 20). La Germania chiude le porte alle ore 18. L’Inghilterra si spinge oltre come l’Italia, tenendo i seggi aperti fino alle 22. Che esperienza di democrazia, dunque, è mai questa? Quale messaggio comunichiamo ai cittadini, che spesso aderiscono alla chiamata con tanta speranza per poi tornare a casa esasperati e delusi? Qualcuno ha già alzato l’indice per obiettare che proprio in Italia non ci possiamo lamentare: qui il servizio almeno è pagato, mentre all’estero spesso è gratuito e persino obbligatorio (in Belgio, agli scrutatori che non si presentano al seggio accade di dover pagare anche fino a 500 euro di multa). Tutto vero, ma sfugge un piccolo particolare.

Pare che in molti di questi paesi, per esempio in Francia, gli scrutatori siano segnalati dai candidati e scelti soprattutto tra coloro che militano nei partiti e nelle liste. Cioè, la squadra di ogni candidato che scende nella tornata elettorale si impegna anche a fornire personale per i seggi, soltanto come ultima possibilità si convocano i cittadini. E ci sembra giusto così. Perché se il servizio deve essere gratuito, frustrante e talvolta persino lesivo della dignità delle persone, comincino col fornire un esempio di devozione e spirito di sacrificio coloro che si occupano di “fare” politica.