La Riflessione/Primo Maggio e lavoro, oggi. Se si muore, siamo ancora alla preistoria della civiltà

Dove sono civiltà e democrazia, quando un uomo perde la vita lavorando?

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«Mi auguro, ci auguriamo di non celebrare più eucarestie per morti sul posto di lavoro. Perché altrimenti la civiltà sarà ancora alla preistoria, saremmo all'aurora della democrazia».

Con queste parole Don Ciccio Savino commentò la morte di Nicola e Vincenzo Rizzi, i due bitontini morti a Molfetta, nel tentativo di ripulire una cisterna. Parole che dovrebbero porre dentro ognuno di noi interrogativi e riflessioni, specie in una giornata come questa.

Oggi, infatti, l’Italia e molti paesi nel mondo celebrano la Festa dei Lavoratori, una ricorrenza istituita per ricordare l'impegno del movimento sindacale e i traguardi raggiunti dai lavoratori in campo economico e sociale negli ultimi secoli. Traguardi che hanno permesso all’individuo di essere considerato come persona, con i suoi bisogni, le sue esigenze, i suoi limiti, e non come mera forza lavoro, da sfruttare a seconda degli obiettivi di produzione e della volontà di profitto.

 Ma ha senso celebrare la Festa del Lavoro, mentre i diritti acquisiti vengono meno e si continua a morire di lavoro?

Mentre, a causa della crisi economica e della necessità di tagliare i costi di produzione, si diminuiscono le spese per garantire la sicurezza sul luogo di lavoro.

Mentre padri, madri, mariti, mogli, vengono uccisi da quell’impiego che dovrebbe aiutarli a vivere.

Le chiamano morti bianche, ma in realtà non c’è niente di più nero di quei decessi.

La tragedia avvenuta nella “Di Dio s.r.l” impone una doverosa riflessione, in una giornata dedicata ai lavoratori.

Già, perché Nicola e Vincenzo non sono morti per una semplice ed imprevedibile fatalità. Sono morti esattamente allo stesso modo dei cinque loro colleghi che, sei anni fa, a pochi metri di lì, tentavano di ripulire un’altra cisterna all’interno della Truck Center.

Una storia che si ripete, come se la morte di cinque persone non fosse una punizione abbastanza severa, come se quella storia, che secondo ciceroniano dettame dovrebbe essere “maestra di vita”, non sia stata già abbastanza chiara.


Se, dunque, la coscienza degli errori del passato serve ad evitarne la ripetizione, ebbe ragione Don Ciccio a parlare di “preistoria della civiltà”.

Già perché se, dopo tantissimi lutti, non abbiamo ancora imparato che si può far economia su tutto tranne che sulla vita umana, sull’incolumità dei lavoratori, vuol dire che secoli di lotte, rivendicazioni e conquiste sociali non sono serviti.

E’ questo il lavoro su cui si dovrebbe fondare la Repubblica?

Dove sono le conquiste che la storia ci ha donato?

Dov’è quel diritto del lavoro che vantiamo di avere, quando, mentre da noi le garanzie diminuiscono, altrove, come in Cina, non certo rinomata sotto questo aspetto, 30mila lavoratori del settore calzaturiero organizzano due settimane scioperi e manifestazioni, riuscendo ad ottenere migliori condizioni lavorative?

Quando il lavoro uccide, possiamo ancora dire che esso nobilita l’uomo? O non, forse, lo abbrutisce?

Per essere più realisti, oggi sarebbe meglio dire che lo rende libero.

Quella libertà sinistra e beffarda, però, ricordata in una tristemente celebre frase in lingua tedesca…