La Riflessione/Quando il male di vivere s'insinua nel cuore dei giovani

Gli adulti non devono restare indifferenti, ma saper ascoltare la loro voce

Stampa l'articolo

Voglia di morire!
Il titolo di una canzone? Di un film? Di un romanzo? Può darsi.
Ma se così fosse non ci preoccuperebbe più di tanto, anzi.

Un’opportunità in più per il nostro udito, la nostra vista, la nostra mente. Un diversivo per la monotonia che ci insidia, per la routine che spesso ci soffoca, per quel senso di vuoto che non di rado ci accompagna durante questo viaggio non sempre costellato di festoni che inneggiano alla gioia, alla festa, alla vita.

La realtà è molto più gelida e cruda: un tarlo che sgranocchia la razionalità, che rode lentamente ma inesorabilmente la psiche di chiunque scopre il fianco alla bestia che da sempre va a caccia di prede per soddisfare la sua insaziabile voglia di anime.

E’il male di vivere.

Il più subdolo, il più camaleontico dei sentimenti, capace di strisciare negli anfratti più nascosti della nostra psiche, di inquinare con il suo veleno alcuni dei suoi parenti, di fagocitare i suoi antagonisti, i più dolci, i più accattivanti, i più amati. E dopo un paziente lavorio di giorni, di mesi, di anni, il piatto è servito.

E’ lui il signore e padrone del nostro io. Non fa distinzione di sesso né di età, ma predilige gli adolescenti e i giovani, le categorie più a rischio per la fragilità del cuore, per la palese inesperienza, per la loro insaziabile voglia di amare e di essere amati, per l’incapacità di sopportare i gravami delle sconfitte, per la solitudine con cui spesso, molto spesso le anime belle si accompagnano.

Tutto questo mentre i “grandi”, ovviamente non immuni dalla malattia, fanno da spettatori, freddi, indifferenti, ad una commedia o tragedia, non fa differenza, che non li coinvolge, non li emoziona. Cattiveria? Crudeltà? Sicuramente no. Ignoranza, egoismo, superficialità, vuotaggine interiore, sicuramente sì.

Sara e Michela, legate da una grande amicizia e passione per l’arte, come solo le adolescenti sono capaci di porre in essere, sono gli ultimi due fiori di campo, in ordine di tempo, a decidere di farsi falciare da quella creatura che il giovane santo di Assisi considerava sorella.

La prima ha raggiunto l’obiettivo, lasciandosi accarezzare, abbracciare e possedere dal gas, che dolcemente l’ha condotta in altri lidi, sicuramente più ameni di quello lasciatosi alle spalle. La seconda non è riuscita nel suo intento, almeno per ora.

L’interrogativo che puntualmente ritorna è sempre lo stesso: perché?

La risposta è altrettanto scontata: “ disagio esistenziale”. Parole che dicono niente e tutto nello stesso tempo. Ma chi come me ha condiviso per decenni, in virtù del proprio lavoro di educatore, le innumerevoli problematiche degli adolescenti, conosce benissimo sostanza, valore e peso dell’espressione.

Ed ecco che la rabbia si acuisce contro quei genitori che sono tali solo sulla carta per cui ogni atteggiamento ostile dei propri figli è dettato solo da capricci e contro quegli  educatori che preferiscono il silenzio alla parola, la sordità all’ascolto, inveire anziché capire. L’atto di educare è prerogativa dei genitori, a loro non compete. Ognuno per la sua strada, quindi.

E gli adolescenti continuano ad essere gli eterni incompresi, maledettamente soli nell’impari lotta contro lo spauracchio della solitudine, alla spasmodica ricerca di qualcuno che li comprenda e li ami. Nel frattempo, soli, senza nemmeno il conforto di colei che è l’ultima a morire, continuano a soffrire ed anche a… morire.

Buon viaggio Sara.