Nei gruppi criminali anche le donne portano i pantaloni, a dirlo è la Direzione Investigativa Antimafia

Sempre più "usate" come complici per l'occultamento e la conservazione di armi e stupefacenti o "contabili". Non di rado, poi, le alleanze tra clan sono rafforzate dai matrimoni

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L’analisi delle attività giudiziarie scritte all’interno del fascicolo della Direzione Investigativa Antimafia del primo semestre del 2018, restituisce un quadro delle mafie in tutta Italia, ma soprattutto al Sud, con gruppi che mantengono la loro supremazia grazie al traffico degli stupefacenti. Le affiliazioni, non costituiscono né un retaggio del passato, né una nota di colora, anzi è tuttora necessaria per la “riconoscibilità” all’esterno del gruppo criminale.

Anche la presenza delle donne, nell’ambito delle cosche, talvolta come vittime necessita di un approfondimento: talvolta sono proprio loro a gestire l’attività criminale.

Talvolta come mandanti di efferate azioni criminose, talvolta come complici nell’occultamento e nella conservazione di armi e stupefacenti, altre come vere e proprie “contabili” dell’ “azienda” a conduzione famigliare.

Non di rado – sottolinea ancora la DIA – le alleanze tra famiglie criminali sono state rafforzate da matrimoni tra giovani di gruppi diversi, con le donne che assumono, sempre più spesso, ruoli di rilievo nella gerarchia dei clan, soprattutto in assenza dei mariti o dei figli detenuti. Particolare attenzione merita il rapido diffondersi di episodi riprovevoli e violenti commessi dalle c.d. baby gang, espressione di una vera e propria deriva socio–criminale”.