Nelle province pugliesi in aumento i reati di pedofilia e pedopornografia. Ecco i casi bitontini dal 1997

Triggiani, dirigente della Polizia di Stato: “Non è mai troppo tardi per denunciare una violenza, ascoltare i vostri bambini, raccontare quel che vi è accaduto”

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Abbiamo riaperto un vecchio caso, quello di Maria Mirabela Rafailà, bimba di appena 7 anni che il 30 marzo del 2000 fu ritrovata morta nelle campagne di Bitonto a due passi dalla piscina comunale. Dopo alcune prime ipotesi fallimentari, che videro nei genitori i presunti colpevoli, in realtà la pista più battuta e seguita dagli inquirenti e dal Pm Gianrico Carofiglio divenne quella della pedofilia. Reato terribile a cui, nel tempo, si possono ascrivere numerosi casi in città. Una piaga che sembra proprio non fermarsi, tanto che, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario nel distretto della Corte di Appello di Bari, il presidente Franco Cassano ha evidenziato un aumento dei reati per pedofilia e pedopornografia da 67 a 85 casi nelle province pugliesi.

«Nel 2012 – ci racconta il dirigente Francesco Triggiani, allora a capo del locale Commissariato di Pubblica Sicurezza – ci fu un caso che mi rimase molto impresso: ci venne segnalato dai servizi sociali la storia di un ragazzino, appena decenne, che subiva abusi e aveva anche perdite. Ci furono diversi incontri, ascolti protetti, alla presenza di uno psicologo: fu frustrante vedere quel bambino che da una parte voleva raccontare tutto, dall’altra tenere a freno l’istinto per paura. Ma senza una testimonianza precisa del bimbo, nulla si poté fare contro chi lo violentava».

«All’epoca dei fatti l’uomo in questione – aggiunge ancora – aveva individuato la sua vittima, sfruttando la sua condizione economica disagiata e offrendo ai genitori diversi doni, mostrandosi gentile e disponibile a tenere anche il bambino per diverse ore a casa sua».

Un caso analogo torna anche nel 2015 quando al dirigente della PS, Giorgio Oliva, viene segnalata la violenza a carico di una bimba di appena 5 anni – anch’essa residente in una zona disagiata della città, con una famiglia in condizioni economiche precarie –, adescata da un giovane.

Ma, nel corso degli anni, i casi hanno riguardato anche uomini di età compresa tra i 40 e i 60 anni, sia per veri e propri atti di pedofilia, sia per minacce sul web.

È il caso di un 40enne bitontino, arrestato dalla Polizia Postale il 29 ottobre 2013, a seguito di un’inchiesta coordinata dalla Procura di Milano. Secondo le forze dell’ordine, l’uomo avrebbe adescato via web un adolescente 16enne di Lecco, spacciandosi per una ragazza. Dopo averlo plagiato, l’avrebbe costretto ad abusare del suo fratellino di 10 anni, sotto il ricatto di divulgare in rete video e foto a luci rosse ottenute con l’inganno. La violenza si sarebbe svolta sotto gli occhi del 40enne collegato via webcam. Sarebbe stato lo stesso ragazzo a denunciare l’orribile vicenda alla polizia, su consiglio di un’amica a cui aveva confidato tutti i dettagli. Oltre all’arresto, gli inquirenti contestarono anche la detenzione e la diffusione di materiale pedopornografico.

25 gennaio 2011. Un 62enne incensurato viene arrestato e posto ai domiciliari dopo essere stato colto in flagranza di reato, mentre compiva atti sessuali con un 14enne di origine rom nelle campagne periferiche della città. L’uomo fu sorpreso nella sua auto in compagnia del minore e fu processato per direttissima e condannato a due anni di reclusione per induzione alla prostituzione minorile continuata: la pena fu patteggiata e sospesa per le attenuanti generiche. In particolare, gli atti sessuali, consistevano in rapporti orali, dietro un compenso di dieci euro.

24 giugno 2008. Un uomo di 50 anni, in cura presso il Servizio di Igiene Mentale fu denunciato in stato di libertà alla Guardia di Finanza con le accuse di tentata corruzione di minorenne e di atti osceni in luogo pubblico. Due giorni prima, nel centro storico, l’uomo aveva avvicinato una ragazza di 14 anni mostrandole i genitali e masturbandosi. La ragazza urlò e una pattuglia delle fiamme gialle, di servizio in zona, intervenne bloccando l’uomo, che aveva ancora i pantaloni abbassati e rischiava il linciaggio da parte dei passanti. Gli investigatori, stando alle informazioni fornite dalla ragazza, hanno accertato che, ad eccezione di uno spintone, non ci fu nessun contatto fisico tra i due.

In ultimo – almeno a quanto abbiamo raccolto - era il 16 giugno 1998 quando il Pm Anna Maria Tosto chiese il rinvio a giudizio di un imbianchino di 49 anni di Bitonto, accusato di violenza sessuale continuata e aggravata su due minorenni e atti osceni in luogo pubblico. Tra l’estate e il 15 ottobre del 1997 – giorno in cui l’uomo fu arrestato al quartiere San Paolo di Bari – i carabinieri lo sorpresero nudo, nella sua automobile, in compagnia di un ragazzo 16enne, anch’egli senz’abiti. Interrogato dal Gip, durante la convalida d’arresto, l’uomo riferì di essere omosessuale da quando, vent’anni prima, aveva subito in carcere una violenza carnale. Precisò di aver avuto un ruolo passivo in tutti i rapporti completi che ammise di aver avuto con il 16enne senza, però, ricorrere –  specificò – ad alcuna minaccia. Le indagini svolte dal Pm confermarono la versione dell’uomo: la richiesta di processo fu firmata dopo una consulenza dello psichiatra Roberto Catanesi. Il professore universitario ritenne immaturi ma capaci di intendere e volere le vittime delle presunte violenze. L’imputato, secondo l’accusa, avrebbe abusato dell’inferiorità psichica dei due minorenni: per costringerli a subire e a compiere gli atti sessuali avrebbe rivolto loro minacce di varia natura, ricattandoli e affermando che avrebbe rivelato i rapporti omosessuali ai genitori e agli amici delle vittime. L’uomo, infine, avrebbe pagato le vittime per le prestazioni regalando loro tra le cinque e le diecimila lire.

«Non è mai troppo tardi per denunciare una violenza, mai troppo tardi per ascoltare i vostri bambini, mai troppo tardi per raccontare quel che vi è accaduto – ribadisce il dirigente della Polizia di Stato, Triggiani -. Denunciare potrebbe aiutare a salvare altre vittime, ad evitare che altri bambini restino gravemente traumatizzati fisicamente e psicologicamente. I carnefici? Purtroppo non smetteranno mai, anzi si mascherano all’interno della nostra società, con delle vite che ostentano normalità e serenità».