Il Caso/“Scrivo per aggiornarti: mi trasferisco a Bologna”. La sfida degli studenti fuori sede

Roma o Milano. Il Nord o l’Estero. Quante volte abbiamo ascoltato o letto queste parole? Il dramma di chi lascia la propria terra

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Quando, qualche settimana fa, una cara amica mi fece sapere di dover lasciare Bitonto per proseguire gli studi altrove, non ne rimasi sorpreso più di tanto. Non era la prima volta che una persona stretta mi comunicava una decisione del genere, nè sarà l’ultima, credo. «Brava» - le dissi, fra le altre cose, - «è una bella sfida e un’occasione di crescita personale». In realtà, in un primo momento, non sapevo cosa rispondere. Provavo dei sentimenti contrastanti, una sorta di ossimoro emozionale: da una parte ero felice per lei, perché decidere di lasciare la propria terra talvolta è il prezzo da pagare per inseguire i propri sogni e alimentare la linfa delle proprie ambizioni. Dall’altro lato ovviamente ero triste, perché significava perdere l’ennesima amica, l’ennesima persona cara, che è costretta a ricominciare da zero, da una nuova città, pur di diventare la persona che desidera.

Non è facile, lo sappiamo tutti. Non è facile per chi rimane. Non è facile per chi parte. Non è facile per i genitori, che per mesi potranno sentire i propri figli solamente per qualche minuto al telefono. Non è facile per gli amici più stretti, che perderanno una persona fidata e con cui confidarsi, una cosa non da poco in questi tempi di solitudine digitale. Non è facile per tutti gli altri, che perderanno quella persona su cui si poteva sempre contare, anche semplicemente per scambiare quattro chiacchiere. Non è facile per i nonni e i parenti in generale, che vedono allontanarsi un membro della famiglia. E non è facile, infine, per loro. Per chi lascia il porto sicuro, in cui è cresciuto, per salpare verso l’ignoto. Per chi si mette in gioco. Per chi coglie l’attimo, senza tergiversare un minuto di più. Onore a questi alfieri della vita.

La nostra città pullula di queste storie. Che fanno parte, inutile a dirsi, di un fenomeno più generale, che coinvolge l’intera Regione e il Sud. Secondo un rapporto dell’Arti (Agenzia Regionale per la Tecnologia e l'Innovazione della Regione Puglia) pubblicato a giugno dello scorso anno, 6 mila matricole ogni anno lasciano la Regione, mentre un universitario su 3 sceglie gli atenei del Centro-Nord. La situazione degli iscritti fotografata dalla ricerca è impietosa: in dieci anni gli universitari pugliesi sono calati da 19mila a 12mila. Dal 2004 al 2011 tra gli atenei di Bari, Foggia e Lecce si è registrata una contrazione del 22,2 per cento di immatricolazioni a fronte di un calo nazionale inferiore e pari al 16 per cento. Le ragioni? Calo demografico della popolazione giovanile e migrazione verso gli atenei del Centro-Nord.

Quali sono invece le motivazioni che spingono alcuni studenti a scegliere un ateneo diverso da quello della propria Regione? Attenendoci alle parole di Daniele Cecchi dell’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione universitaria), dei 19.134 pugliesi che si sono immatricolati in una università nel 2012-13, solo il 3% ha scelto un ateneo fuori dalla propria Regione perché disponeva del corso di laurea desiderato. «La fuga di cervelli dal Mezzogiorno – ipotizza Cecchi - è un problema politico di uguaglianza. Le regioni più gettonate sono Emilia Romagna e Piemonte dove i benefici del diritto allo studio sono maggiori».

Alla migrazione degli studenti ovviamente si aggiunge quella delle persone in cerca di un’occupazione o condizioni di vita migliori. Perché se il resto del Paese risente ancora degli effetti della crisi, il Sud boccheggia. Secondo il rapporto SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno) pubblicato a fine luglio di quest’anno, negli ultimi cinque anni sono emigrati dal Sud 1,7 milioni di persone a fronte di un milione di rientri: la perdita secca è stata di 716 mila unità, il 72,4 % under 34, 198 mila i laureati. Dal punto di vista prettamente economico invece, agli attuali ritmi, il Mezzogiorno recupererà i livelli precrisi nel 2028, 10 anni dopo il Centro-Nord.

Qual è invece la situazione nella nostra città? Da una nostra ricerca compiuta analizzando gli indicatori demografici relativi a Bitonto nel periodo 2012-2016 e pubblicata sul numero di Aprile scorso del Da Bitonto cartaceo (n.314), la popolazione ha subito una contrazione di 1000 unità, passando da 56.277 unità (1° gennaio 2012) a 55.354 (31 dicembre 2016). Nonostante un saldo naturale (nascite meno morti) generalmente positivo nella nostra città, è l’emigrazione che trascina la crescita della popolazione in campo negativo. Ogni anno centinaia di persone lasciano la nostra città, di cui solo all’incirca una su sette per trasferirsi all’estero.

Ma c’è qualcosa che questi numeri così cinici e freddi non possono fotografare. E sono le emozioni che abbiamo provato con chi lascia la nostra terra. La meraviglia di fronte alla bellezza del mare colorato dalle prime luci dell’alba. La serenità di un caffè pomeridiano. La rabbia scaturita dalle incomprensioni, poi sempre risolte. La felicità di una serata trascorsa con gli amici di sempre in città. Onore a chi è partito, a chi parte, a chi partirà. Onore a questi alfieri della vita.