"Sòtte la lìune, lìtte de ròuse", l'eterna (e bella) commedia dell'amore bitontino

Torna sulle scene il piccolo grande capolavoro firmato da Michele Muschitiello e dalla compagnia U Seppùnde

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Che fosse un atto d'amore sconfinato alla nostra bitontinità, lo si è capito da ogni dettaglio che, battuta dopo battuta, si squadernava sul palco dell'Auditorium "De Gennaro". L'inequivocabile scenografia - il nostro ulivo, ritorto e dolente, la Chiesa della Madonna delle Grazie, una piazzetta con bassi quasi comunicanti -, i sapidi dialoghi con aneddoti esilaranti e proverbi indimenticabili, persino il richiamo a donare il sangue da parte dell'ottimo Giacomo Bruno, presidente della molto benemerita Fratres. Dunque, "Sòtte la lìune, lìtte de ròuse", la commedia firmata da Michele Muschitiello, acuto e appassionato studioso di lingua e storie nostre, prende le mosse dalla giovane e già sveglia Nénnèlle (Loredana Giampalmo, accattivante), che, in busca necessaria dell'uomo di una vita, si reca con la madre (Angela Berardi, vespigna) e le comari Porzièlle e Santìne (irresistibili e vulcaniche Giovanna Colapinto e Mariolina Acquafredda) presso appunto la Madonna del Miglio, sulla via per Palombaio, dove, secondo la tradizione, un pellegrinaggio poteva essere propizio all'incontro fatale. E tutto sembra, infatti, concluso quando alle donne si presenta l'anziano presidente Ciccìlle Brabante (Pinuccio Cortese, perfetto) - chiara riproposizione del senex plautino -, accompagnato dal fido Vètucce (Emanuele Castro, simpaticissimo). A suggello di questo prossimo matrimonio, che appare davvero di convenienza, persino l'atto autografato dal notaio (Pietro Mummolo, fiero e ben calato nella parte di chi si smarrisce nell'intreccio di persone e cose, ammattendo). Sennonché la mamma della nubenda, complice la convicina (Mariangela Saracino, convincente) sa della tresca tra la figlia e il frate (un grande Gino Lisi), che gradualmente va "spogliandosi", attratto com'è dalle lusinghe del mondo, specie sentimentali, e inganna il vecchio. Una firma fasulla sul documento e l'inganno è perpetrato. Il latifondista si beccherà la vedova e la fanciulla potrà convolare a giuste nozze con l'ormai ex conventuale. È il lieto fine di una sequela di scene strapparisate e pensose ad un tempo, intervallate dai canti e dalle danze dell'intramontabile Gruppo Folclorico "Re Pambanelle", che ha catapultato gli spettatori forse per un torno d'ore troppo fugace, in un passato, bello, puro e mitico, che è la nostra stessa identità. La cui memoria giammai si spegnerà finché ci saranno i piccoli grandi capolavori come questo dell'ineguagliabile Michele e della compagnia U Seppùnde (completata dalle graziose figuranti Federica Carbonara e Giada Cortese).