A spasso con la Storia/Il traghetto che si schiantò contro la petroliera nel porto di Livorno. Quei 140 morti ancora senza verità e colpevoli

La carneficina accade il 10 aprile 1991. Dopo anni di buio, qualcosa è tornata a muoversi

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Proviamo a contare con le dita di una mano. Dal 10 aprile 1991 quanti anni sono passati? Tanti, tantissimi, talmente tali che ne servono più di cinque, di mani. Oltre 27 anni da quel dì in cui, nel porto di Livorno, il traghetto Moby Prince va a fuoco, uccide 140 persone (75 passeggeri e 65 membri dell’equipaggio) e lasciando un solo superstite, Alessio Bertrand.

Dopo anni di buio totale – ma tranquilli, è una cosa ordinaria in Italia, - due indagini della magistratura nel 1991 e nel 2006 che hanno diradato poche nubi, qualche mese fa la procura della bella città toscana ha aperto un nuovo fascicolo e richiesto tutti gli atti della Commissione d’inchiesta del Senato, che pare abbia scoperto nuovi elementi utili per non far cadere il solito e triste velo d’oblio su una ennesima vicenda drammatica. Sembra quasi che nel Belpaese, dove trionfano le mezze verità e da almeno 70 vige un regime non scritto di “deficit di verità”, ci si diverta a erodere la memoria. Individuale e collettiva.

 

 

 

Chi ricorda davvero cosa è successo quella drammatica notte? Sono passati da pochi minuti le 22 quando il traghetto “Moby Prince” parte da Livorno in direzione di Olbia. Pochi minuti più tardi, si scontra con la petrolieraAgip Abruzzo” e la sua prua penetra nella cisterna contenente circa 2.700 tonnellate di greggio, che in parte si riversano in mare e in parte investono il Moby Prince. L’impatto delle lamiere delle due imbarcazioni è fortissimo e produce le scintille che causano l’incendio. Inizialmente, però, il fuoco non si propaga immediatamente su tutto il traghetto in quanto le fiamme, per raggiungere il salone dove verrà ritrovata la maggior parte dei corpi, impiegheranno presumibilmente diverso tempo. Ma è qui, però, che accade la prima cosa strana. La velocità dei soccorsi. Prenderanno il mare solo dopo ripetute richieste di intervento da parte della Agip Abruzzo e solo verso la petroliera, senza mai cercare la “Moby Prince”. Perché?

Accade allora che, incredibile ma vero, lo scafo in fiamme del traghetto verrà raggiunto solo dopo le 23.35. In attesa dei soccorritori (e l’incendio è già divampato da un’ora e mezza), l’equipaggio fa affluire tutti i passeggeri in quel famigerato salone, predisposto per resistere al fuoco, ma le fiamme arrivano a circondare, ben presto, quella che diventerà una trappola e una carneficina.

 

 

Le indagini iniziano subito, ma hanno esito prima contradditorio e poi fallimentare, ma guardando tutto ciò che c’è dietro a quella strage (interessi economici non sempre dichiarati e spesso vigorosamente negati, collegati ai costi delle assicurazioni e dei risarcimenti, responsabilità di autorità portuali e marittime che non si vollero o si poterono approfondire, sciatteria e pressappochismo), non poteva essere altrimenti. La Commissione d’inchiesta, allora, sembra quasi essere stata una manna dal cielo, soprattutto per le associazioni delle vittime, “10 aprile 1991” e “Moby Prince 140”.

Il perché è semplice. Dopo due anni di lavoro, decine di testimonianze, migliaia e migliaia di documenti consultati, sei perizie, atti inediti e nuove tecniche di analisi sui filmati dell’epoca, i risultati sono talmente significativi da far saltare dalla sedia. Il primo è che quella notte la nebbia non c’era, e quindi quella che è stata indicata per decenni come causa del disastro si rivela infondata. Il secondo, il più importante, è il rocambolesco ritrovamento di alcuni documenti inediti che testimoniano dell’accordo armatoriale tra la compagnia di navigazione di cui faceva parte il Moby Prince e proprietaria dell’Agip Abruzzo. Carte che provano una forte intesa fra i due gruppi a “non attribuirsi reciproche responsabilità”. E c’è pure un terzo elemento, il non coordinamento dei soccorsi da parte della Capitaneria di porto livornese. Che non ha cercato né il traghetto, né di mettersi in contatto radio con le imbarcazioni presenti in rada, né indirizzare i soccorsi per spegnere l’incendio a bordo del Moby Prince o per salvare passeggeri ed equipaggio.
 

 

 

Tocca ora alla magistratura far sì che quel lutto privato, diventato in questi anni memoria pubblica, trovi un risarcimento di verità e di giustizia.