Il reportage di Emilio Garofalo 4/ La grande umanità di un incontro casuale

Il racconto di una notte vissuta in un bar, senza poter tornare a casa

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“Strada”, in albanese, si pronuncia “rruga”. Chiedere ai cittadini albanesi un indirizzo è cosa vana, perché non conoscono la toponomastica. Se ti perdi, in questo Paese, per ritrovare la strada corretta devi cercare di raggiungere un punto di riferimento.

Qualunque esso sia: una scuola, una statua. La dimora di qualche importante uomo politico del passato, l’ospedale. Chiedi e ottieni risposta. E ritrovi la via. Ma se c’è una cosa che davvero riempie di emozioni il tuo cuore randagio è perdersi e continuare a girare a zonzo senza una meta precisa. È lì che scopri la bellezza del posto straniero che ti ostini ad attraversare.

Così capita che il viaggiatore si ritrovi nel distretto di un qualche villaggio, magari a nord della Capitale, sicuro della propria direzione, salvo poi scoprire che è completamente sbagliata. Quando succede, inizialmente si preoccupa, è fisiologico, specie se sa che l’ultimo autobus è appena partito e che, nella nottata, non ci saranno più corse che lo riporteranno a casa.

Poi però si rende conto di avere sotto mano tutto quello che occorre per andare avanti senza difficoltà: uno zaino in spalla, qualcosa, qualunque cosa, a guidare il suo cammino. Tipo la consapevolezza di quanto siano belli gli sguardi degli stranieri che si incontrano, che “restano umani” nell’aiutarsi vicendevolmente.

Lo sguardo di Bertjion è davvero così: umano. Siede al tavolino di un bar. Fuma sigarette artigianali. Sorseggia una birra, sembra felicemente solo. Risponde con sgomento alla domanda del povero, sprovveduto viaggiatore, rivelando che non ci saranno autobus per la Capitale fino all’indomani. Lo invita al tavolo e il viaggiatore accetta.

Bertjion vive poco lontano di lì. La sua casa, dice, è piccola. Ma offre riparo a sei persone: sua moglie e quattro figli. Tre donne e un ragazzo. Due di loro sposate, vivono a sud, in un villaggio in terra di Saranda, dove dicono che le spiagge siano bellissime, il pesce sempre fresco, l’inverno calmo, freddo e silenzioso, l’estate divertente e frizzante.

Una ragazza sta finendo, invece, gli studi in Architettura a Tirana. Il ragazzo porta avanti la attività di famiglia: quel bar solitario teatro dell’incontro. Il primo giro di rakia, la deliziosa grappa albanese, un distillato derivato dalle prugne, è offerto proprio da Bertjion. Che in cambio chiede al viaggiatore solo il breve riassunto della sua vita.

Ovviamente, il viaggiatore lo rivela con puro piacere. E mentre il sentore fruttato del superalcolico si fa sempre più deciso, il tempo si dimezza, corre lungo istanti brevissimi. La piacevole sensazione di sentirsi a casa senza un tetto sulla testa, senza coperte sul letto, ma solo la brezza autunnale che, nelle ore notturne, ritrova la sua personalità.

Poi, la sua storia, quella di Bertjion. Già sentita innumerevoli volte, ma sempre così nuova e bella da scoprire: la fuga dalla guerra, tra le braccia della sorella Italia, correndo lontano da una dittatura sporca, infame, che usava le istanze del popolo per opprimerlo senza pietà. La storia, appresa nel cuore della notte da un uomo che ha lavorato tutto il giorno e trova la forza di insegnartela, ha un fascino senza limiti.

Il tempo si dimezza, dicevamo. Il viaggiatore dimentica le turbolente frustrazioni di una notte insonne passata in mezzo alla via, da qualche parte, nei Balcani.

Poi, la mattina arriva, portandosi dietro la luce del sole e, al parcheggio degli autobus, i viaggiatori, i minivan, I taxi. Una stretta di mano. Finalmente si torna a casa. O purtroppo.