Il Ricordo/Don Cosimo Stellacci: uomo di Dio e dei poveri

Nei giorni scorsi, nell'Istituto Sacro Cuore di Bitonto, per iniziativa di un gruppo di amici di don Cosimo Stellacci, è stata ricordata da Valentino Losito, Nicola Colaianni, Enzo Robles e don Antonio Mattia la figura del sacerdote bitontino a 16 anni dalla morte

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Davanti a testimonianze come quelle di don Cosimo Stellacci, che ha avuto fino al termine del suo cammino terreno  lo stigma della Croce, dovremmo avere una misura nelle parole, anche perché sappiamo come don Cosimo vorrebbe essere ricordato: ci chiederebbe di coniugare nelle nostre vite i tre verbi che lui ha sempre incarnato nella sua: ascoltare la Parola,  spezzare il pane dell’Eucarestia, frequentare la scuola dei poveri.

Questi sono stati i tratti fondamentali della sua esistenza. A proposito di testimoni della Croce, ho trovato questa assonanza in un passo della prima omelia di Papa Francesco nella Cappella Sistina quella di altri tre verbi: camminare, edificare, confessare.

Quando camminiamo senza la Croce - dice Papa Francesco - quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore”.

Don Cosimo non è stato vescovo, cardinale, papa. Anzi, ha abitato le periferie delle città e della Chiesa, che per lui dovevano coincidere e ne ha fatto il luogo privilegiato per la sua testimonianza profetica di discepolo di Cristo crocifisso ed è stata questa la sua unica gloria.

Don Cosimo manca oggi alla sua famiglia, ai suoi amici, manca alla nostra città e alla nostra chiesa. In un tempo in cui rischiamo l’indifferenza  davanti ad una violenza e ad un male di vivere così arroganti da rischiare di diventare banali e di indurci alla rassegnazione e all’impotenza.

Don Cosimo, come Isaia, non avrebbe taciuto per il bene del suo popolo, anzi ci avrebbe aiutato a leggere anche questo tempo, così nuovo e così difficile, così impervio da affrontare, come un tempo di grazia per la nostra città e per  la nostra chiesa. Ci avrebbe invitato a sperare contro ogni speranza  e ci indicherebbe, con il suo esempio, la via della testimonianza dicendo con il salmista: Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni.

Anche don Cosimo, come altri sacerdoti e laici della nostra città e della nostra chiesa, ha seminato nelle lacrime del suo popolo con cui spesso ha mischiato le sue. “La fede deve sapere di umano” soleva ripetere don Cosimo e anche in questo ho trovato un’assonanza con una frase di papa Francesco “Il pastore deve avere l’odore del gregge”. 

L’odore, non il profumo. Il gregge profumerà di grazia se il suo pastore si chinerà sulle sue pecore, soprattutto quando hanno il cattivo odore del peccato della mancanza di speranza. Perché la Chiesa deve essere questo, la fontana del villaggio, l’ospedale da campo per la povera gente.

Chiudo con una recente e bella immagine: l’abbraccio alla veglia per le vittime della mafia, in ricordo di don Beppe Diana, tra Papa Francesco e don Luigi Ciotti. Il successore di Pietro e il sacerdote-simbolo del cattolicesimo di frontiera di cui don Cosimo fu un testimone sono entrati in chiesa tenendosi per mano. Un segno profetico: nella Chiesa anche agli «apostoli degli ultimi» viene riservato un posto d’onore.

Quasi una  «riabilitazione» per i «pretacci» che in passato furono quasi in odore di eterodossia per l’insofferenza al conformismo del potere  e la vicinanza  ai tormenti della società contemporanea. 

 Nel silenzio della sua testimonianza don Cosimo ha preparato svolte come queste. Lo ringraziamo per essere stato un credente- credibile. Un uomo di Dio. Un testimone di Gesù Cristo crocifisso. Gli chiediamo di aiutarci ancora a seminare tra le lacrime.