La lezione di Speranza e Campione. Riscopriamo Le voci, il "dentro", la vita interiore e i colori

Riprendiamo la profonda riflessione di Valentino Losito, tenuta qualche giorno fa

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Le voci di dentro, le voci dei colori" è stato il  tema sul quale l'amico Nicola Pice ha voluto recentemente invitarmi a riflettere, con lo scrittore e giornalista Raffaele Nigro, nel presentare il Fondo del maestro Francesco Speranza e l'ultimo libro del giornalista Michele Campione, presso la Fondazione Ungaro-De Paolo di Bitonto.

Le voci, il "dentro", cioè la vita interiore e i colori. Una trilogia interessante, meravigliosa ma anche inquietante.

E’ come se Speranza e Campione ci chiedessero: vi sono ancora voci tra voi, sapete riconoscerle, sapete ascoltarle? E poi: avete ancora la dimensione del "dentro", della vita interiore, del primato della coscienza, dell’ascolto del cuore, là dove guerra e pace si fanno sempre la guerra: che fate nel vostro cuore? Costruite ponti o scavate fossati, o alzate muri, specie quelli dell'indifferenza e della paura?

E infine i colori. Quali sono, se ve ne sono, ancora i colori delle vostre vite? Riuscite ancora ad esercitare la virtù dello stupore, della ricerca della bellezza, vi fate affascinare dalle tinte tenui ma vive della speranza o siete dei campioni di cinismo, di rassegnazione?

Ascoltare le voci. Siamo subissati, incalzati soprattutto dalle urla, dai rumori, dal chiacchiericcio, oppure mortificati dal mutismo che nasce dalla paura, oggi anche dalla povertà di una crisi che non è solo economica, ma di valori, di ricerca di senso. Tra urla e mutismo, tra rumori e stridore di denti, facciamo fatica a far spazio alle voci, a parlarci ad ascoltarci. E' necessario ritrovare lo splendore della comunicazione autentica, del diaolgo che non è la somma di due monologhi  ma contaminazione vera. Iniziando da quella che un grande teologo, Italo Mancini, chiamava l' etica dei volti, del volto dell’altro.

La vita interiore. E poi il dentro, la vita interiore. E’ lì che nascono le voci, è lì che dobbiamo predisporci all’ascolto, essere capaci di ascolto. Ma per essere capaci di ascolto, cioè accoglienti nei confronti delle voci dobbiamo anche scavare e svuotare molto di noi stessi, dei nostri egoismi, delle nostre certezze, passando da un cultura fondata sull’idolatria del soggettivo "io" ad una cultura dell’oggettivo "me": "eccomi" rispondiamo quando ci disponiamo all’ascolto e all’attenzione all’altro che ci chi chiama che ci invita: eccomi cioè ecco-me non ecco-io. Oggi il dentro non va di moda, va di moda... il fuori. La cultura dell’apparire, del solo apparire, del bell’apparire, dell’"appaio dunque sono" è tra gli aspetti più inquietanti della mutazione antropologica del nostro tempo.

I colori. Ci sono ancora colori nella nostra vita, e quali sono?  Spesso i nostri giovani issano le bandiere della pace con i meravigliosi colori dell’arcobaleno, ma quali sono i colori della nostra ferialità? Ammettiamolo, spesso il colore dominante delle nostre vite è il grigio, il grigio della delusione, della mancanza di senso, della perdita di speranza, di una omologazione che ci mortifica che ci appiattisce che ci trascina in basso. La nostra è molto spesso una vita grigia, forse in bianco e nero ma assi di rado riusciamo ad accendere a riaccendere i colori della vita, dell’allegrezza che smuove e contagia.

Dicono i versi di una grande poetessa americana Emily Dickinson: Una parola muore quando è detta - dice qualcuno ? Io dico che proprio quel giorno comincia a vivere.

Credo che questo miracolo della contaminazione e del continuo ricominciamento si possa e si debba dire di ogni opera d’arte. E' bello pensare che da quando il maestro Speranza ha dato l’ultimo colpo di pennello ad una sua opera, da allora quel quadro, quell’immagine, ha cominciato a vivere. E per strade misteriose giunge e tocca cuori e menti nuove e ogni cuore e ogni mente la guarda e la vive con animo nuovo e la rinnova e la tramanda e la abbellisce, la carica dei colori della propria anima della propria nostalgia, della memoria, della speranza del futuro.

Noi tutti abbiamo tra le mani il seme della bellezza che anche uomini come Speranza e Campione ci hanno trasmesso: non dobbiamo avere paura di continuare a spargerlo sulla nostra terra, anche se non ne vedremo i frutti.