Un lungo viaggio tra ricordo, memoria e tempo. Presentato, ieri sera, il libro di Valentino Losito "E la chiamano estate"

Primo volume del giornalista bitontino, "mi è piaciuto scriverlo e l'ho fatto con slancio e malinconia"

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E la chiamano estate”, il primo libro scritto dal giornalista e orgoglio bitontino Valentino Losito, è un lungo viaggio che si porta con sé il tempo, i ricordi e le memorie.

Tutti ingredienti che danno al volume edito da Secop Edizioni una sensazione quasi di magia, di sospensione, di un abbraccio con quello che siamo stati, o che più di qualcuno ci ha raccontato di essere stato.

 

Il tempo già lo si vede dal sottotitolo, “quando andavamo in villeggiatura”, volutamente diversa dalle vacanze “tutto compreso” e ricompare ciclicamente in ogni pagina, in ogni racconto, nella stagione estiva (significativi i capitoletti “l’estate dei timidi” e la “valigia di settembre”), in ogni personaggio che si incontra, citati perché mai casuali e funzionali al viaggio dell’autore.

La memoria perché si intreccia con il tempo, nel farci rivivere la bellezza, il fascino, l’incanto di Santo Spirito – fino al 1928 Marina di Bitonto, ma ancora oggi forse più importante per i bitontini che non per i baresi – e tutto ciò che significava per una vecchia generazione trascorrere lì un po’ della bella stagione.

I ricordi, quindi, ma d’altronde il libro dell’ex presidente dei Giornalisti di Puglia è tutto un grande ricordo, perché somiglia quasi a un viaggio di dantiana memoria in cui ogni racconto, ogni capitolo, ogni trafiletto è una stazione in cui incontrare noi stessi, gli altri che c’erano per noi e che hanno avuto la fortuna di vivere certi momenti, e tutte quelle situazioni difficilmente dimenticabili: un albero, il grande carrubo alla stazione del borgo, gli aquiloni dei ragazzi, i palloni dei ragazzi, la corsa del tram (“quel tram tra gli ulivi”), i bar storici, il Ciclo pescatori, il carretto dei gelati al limone, e tutti i luoghi di incontri.

 

Per dirla come Oscar Iarussi, insomma, che ne ha curato la prefazione, “la nostalgia come cifra etica, alla maniera del Pasolini corsaro dei tempi è lo spirito autentico di questo piccolo libro”.

Oppure come Angela De Leo, secondo cui “è un libro fresco, di brevi aneddoti del tempo che fu e che ha lasciato nell’autore e lascerà in ogni lettore una scia di ricordi che rendono ancora azzurro e leggero il cuore”.

Molto più semplicemente, il volume è come quella casa sul mare di Eugenio Montale, ma ribaltata, perché se lì “il viaggio finisce qui nelle cure meschine che dividono l'anima che non sa più dare un grido”, l’anima di Valentino Losito sa ancora gridare e, ne siamo sicuri, ha ancora tanto da viaggiare per continuare a raccontare e raccontarsi ai figli e ai nipoti, come d’altronde ha fatto papà Lorenzo con lui.

 

“E la chiamano estate” è stato presentato ieri sera nel foyer del teatro Traetta da alcuni compagni di viaggio e di vita dell’autore: Mario Sicolo, direttore del “daBITONTO”, i docenti Nicola Pice e Vincenzo Robles, Franco Leccese, che ne ha letto qualche passo. E Rosa Calò, assessore comunale ai Beni culturali.

Mario Sicolo si è concentrato, tra le altre cose, sulla figura del porto di Santo Spirito, “recuperato in senso orizzontale e in quello verticale. Orizzontale perché visto come un’agorà e lido, e verticale perché pone tanti interrogativi nello stesso Valentino”, che è stato bravo a “tirar fuori raccontini che sono scorciatoie per tornare al cuore, come direbbe Umberto Saba”.

Pice, invece, partendo dalla non casuale presenza di due quadri di Francesco Speranza (altro grande figlio della nostra terra) nella prima e nella quarta di copertina, è convinto che il libro racconti di sé e che Valentino fa a se stesso, ma anche agli altri e per altri, “e che sa di aria, di sabbia e di bucato come egli stesso scrive”.

Robles, dal canto suo, ha sottolineato che non si tratta di un libro ricordo, ma di un libro memoria in cui l’autore sembra quasi essere un esploratore dell’anima. E l’assessore Calò è stato sulla stessa lunghezza d’onda.

E poi c’è stato Valentino Losito, che scrivendo questo volume – ha detto – ha coronato un sogno che aveva da tempo e nel cassetto, riaperto dopo aver mandato in soffitta articoli e racconti di cronaca. “Un libro che mi è piaciuto scrivere, e l’ho fatto con una certa malinconia ma al tempo stesso con grande slancio”.