La Politica, ieri e oggi/1990. Il referendum su caccia e pesticidi, il primo a non raggiungere il quorum

Traguardo raggiunto a Bitonto, dove la Lega per l'Ambiente pubblicò un sentito appello al voto

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Ad un mese dalle elezioni regionali, provinciali ed amministrative del 1990, che coinvolsero anche Bitonto, si tornò a votare, in tutta Italia. Questa volta per un referendum abrogativo.

Tre erano i quesiti referendari. Il primo riguardava l’abolizione di alcuni articoli che disciplinano la caccia, mentre il secondo proponeva la cancellazione delle norme che consentivano l’accesso dei cacciatori ai fondi privati. L’ultimo quesito, invece, era sull’uso dei pesticidi nell’agricoltura e voleva l’abrogazione della disposizione che consentiva al ministero della Sanità di stabilire il limite di tolleranza nell'uso dei pesticidi secondo criteri di discrezionalità pura, in luogo di criteri medico-scientifici.

Tre referendum promossi dai Radicali, dai Verdi e da altre forze politiche ambientaliste. I primi due sulla caccia ottennero anche il supporto del Partito Socialista Italiano e di diversi esponenti della cultura e dello spettacolo.

Come abbiamo visto negli appuntamenti precedenti di questa rubrica, infatti, il movimentismo sulla questione ambientale aveva conosciuto un notevole sviluppo, nell’Occidente e in Italia, sin dagli anni ’60, con la nascita delle prime associazioni ambientaliste che, a partire dai ’70, iniziarono a trasformarsi in partiti politici, inaugurando la stagione dei partiti monotematici. In Italia, infatti, fu nei primi anni ‘80 che nacquero i primi partiti verdi, sull’onda di quella coscienza ambientalista che aveva iniziato a diffondersi negli anni precedenti e che era rappresentata dal volume intitolato “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, redatto dall’associazione “Club di Roma”, che paventava notevoli rischi per l'ecosistema terrestre e per la sopravvivenza della specie umana causati dallo sfruttamento eccessivo delle materie prime.

Non fu un caso, inoltre, che tra i quesiti referendari, uno riguardasse l’uso dei pesticidi. Tra le prime opere che avevano promosso maggiore attenzione alla tutela dell’ambiente, vi era stato, nel ’62, il libro “Silent Spring” (tradotto in italiano come “Primavera silenziosa”), scritto dalla biologa statunitense Rachel Carson. Un’opera che criticava l'uso indiscriminato dei pesticidi e che stimolò il dibattito sull’argomento e le successive normative che disciplinarono l’uso di quelle sostanze.

Tra gli ambientalisti, l’avversione alla caccia e all’uso indiscriminato dei pesticidi era molto sentita. Diversi furono, nelle settimane precedenti l’appuntamento elettorale, gli appelli alla partecipazione, da parte delle tante associazioni e delle forze politiche legate al tema ambientalista. Anche a Bitonto gli ambientalisti furono attivi per tentare di convincere la gente a recarsi alle urne per cancellare quelle norme, in modo ridimensionare l’attività venatoria e l’uso dei pesticidi in agricoltura.

«Gli articoli incriminati sono i più vessatori, ad esempio, quelli che trattano la caccia con le reti, trappole, lacci, richiami vivi al capanno; quelli riguardanti il calendario venatorio, che è troppo lungo, non consentendo, alle specie che nidificano a febbraio, di stare tranquille» spiegarono, in un comunicato pubblicato sul “da Bitonto” nell’edizione di giugno 1990, i membri del Circolo “Mendes” della Lega per l’Ambiente: «Si chiede, inoltre, di introdurre il concetto di legame con il territorio, per evitare le scorribande lungo la penisola, in cerca di prede».

«Tutto questo, la legge in discussione alla Camera non lo prevede – accusano gli ambientalisti bitontini – Anzi, secondo questa, si potrebbero cacciare anche specie protette (stambecchi, martore, caprioli) nei parchi, ed anche i randagi».

«Ci sono dei cacciatori rispettosi e amanti della natura, è vero, ma molti loro colleghi sono delle autentiche canaglie dedite, grazie alle leggi, al bracconaggio appunto legalizzato, che possono impunemente transitare sui fondi altrui, senza alcun permesso» continuano.

Temi su cui, sul fronte opposto, si batterono altri movimenti monotematici, i sostenitori del diritto ad una libera caccia e ad una libera pesca, che si riunirono in liste come il Movimento Nazionale Italiano Cacciatori e “Caccia Pesca Ambiente”.

Quanto all’uso dei fitofarmaci e dei pesticidi, la Lega per l’Ambiente di Bitonto, sottolineando le contraddizioni della legislazione sul tema, scrisse: «Naturalmente, [il referendum] sarà un pretesto, pur importante, per riqualificare l’intero settore dell’agricoltura, dove non c’è tanto bisogno di fitofarmaci, ma di innovazione e competenza. L’uso appropriato e controllato dei fitofarmaci dovrà portare gradualmente verso un’agricoltura più alternativa, sana. Insomma, dalla parte dell’agricoltore e del consumatore, […] dalla parte del bruco e della mela, perché interessi apparentemente contrastanti possono benissimo coabitare».

«Ecco perché vi chiediamo di mobilitarvi, di esprimere la vostra voglia di dire di sì!» conclude il documento invitando gli elettori al voto a recarsi in massa alle urne, coinvolgendo parenti, amici e conoscenti, «perché, è bene ricordarlo, il referendum è valido solo se ha votato il 50% degli aventi diritto più uno».

Un problema, quest’ultimo, che, fino a quel momento, non era mai stato d’intralcio alla validità degli esiti referendari, dal momento che tutti i referendum precedenti avevano abbondantemente superato quella soglia.

Ma, pur avendo ricevuto un notevole sviluppo nei due decenni precedenti, il tema ambientalista non era ancora diventata una battaglia politica di massa, sentita dalla totalità della popolazione. Fattore che, unito ad una situazione politica caotica, con un crescente astensionismo, una partecipazione che si riduceva e con i partiti politici tradizionali ormai moribondi, portò a quello che fu il primo referendum invalidato da una scarsa affluenza di votanti.

In tutta Italia, fu, infatti, solo il 43% degli aventi diritto a votare, ovviamente per il sì, mentre chi era contrario alle lotte referendarie preferì la via dell’astensione, per invalidare in risultato che, altrimenti, sarebbe stato scontatissimo.

Se pur di poco, invece, il fatidico quorum del 50% più uno degli elettori fu superato a Bitonto. A votare per i tre quesiti fu, rispettivamente, il 5’,11%, il 50,10% e il 50,07% dei bitontini votanti. La stragrande maggioranza votò naturalmente a favore dell’abrogazione delle norme incriminate: più del 95% ai primi due quesiti sulla caccia e il 93,57% al terzo sull’uso dei pesticidi.

Quello del ’90, fu il primo referendum di una lunga serie ad essere reso nullo dalla scarsa affluenza degli elettori. Segno, questi, sia di una partecipazione confusa, in crisi, ma anche di un abuso che, negli anni successivi, sarà fatto dell’istituto referendario, utilizzato in forme talvolta plebiscitarie o su argomenti su cui sarebbe stato meglio il confronto in quelle assemblee parlamentari che, invece, erano sempre più sotto attacco.