La Politica, ieri e oggi/1992. La riforma del Servizio Sanitario Nazionale e l'inizio delle battaglie per l'ospedale
Ovunque, anche a Bitonto, le strutture ospedaliere iniziarono ad essere al centro di piani di riordino e tagli per il contenimento della spesa
Il ‘92 fu un anno terribile per l’economia italiana e per le sue finanze pubbliche. Fu l’anno in cui, ricordiamo, la lira italiana, insieme alla sterlina britannica e alla peseta spagnola, fu colpita da una grave tempesta valutaria che, a settembre, portò alla svalutazione delle tre monete e all’uscita di Gran Bretagna e Italia dal Sistema Monetario Europeo, che legava le valute partecipanti a una griglia di cambio predeterminata.
Una crisi dei conti pubblici che investì tutti i settori della sfera pubblica e non risparmiò neanche la sanità, che, dagli anni precedenti, stava segnalando un consistente divario tra gli stanziamenti del Fondo Sanitario Nazionale e la spesa rendicontata dalle regioni, con un disavanzo crescente. Disavanzo causato da una domanda di salute molto più ampia dovuta alla crescita demografica. Per lo Stato c’erano, dunque, costi maggiori per il mantenimento delle strutture sanitarie e per la necessaria specializzazione imposta dai progressi tecnologici. Ma cause del disavanzo erano anche, in misura minore a carenti controlli sulla spesa, sprechi, clientelismo e diffusa corruzione nel settore sanitario. Tra la seconda metà degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, aumentò quindi la spesa sanitaria procapite di più del 50%. Tanto che, già negli anni ’80, si iniziò ad avvertire l’esigenza di razionalizzarla. Esigenza che portò, all’inizio degli anni ’90 ai provvedimenti di razionalizzazione dei costi della sanità.
Fu, dunque, in questo contesto caratterizzato da gravi difficoltà finanziarie e da una crisi politica devastante che, a dicembre ’92, il parlamento italiano approvò la prima legge di riordino del Servizio Sanitario Nazionale. Il Decreto Legislativo 502/92, del 30 dicembre 1992, attuò una profonda riforma della legge istitutiva del Ssn, quella legge 833 che, nel ’78, aveva mandato in soffitta il vecchio sistema mutualistico nato durante il ventennio fascista ed ereditato, se pur modificato negli anni, dall’Italia repubblicana.
Una riforma che, solo 14 anni prima, era stata uno spartiacque ed era riuscita a garantire maggiore uniformità ed omogeneità alle prestazioni sanitarie, slegandole dall’ammontare delle contribuzioni, creando una sanità finanziata attraverso le tasse, secondo il principio per cui i cittadini sani, percettori di reddito e consumatori di beni gravati da imposte, pagano le cure ai cittadini che necessitano di esse.
Il punto decisivo della riforma del ’92 fu la radicale modifica del meccanismo di finanziamento del sistema sanitario. La responsabilità del pareggio di bilancio fu attribuita alle regioni, il cui ruolo fu rafforzato, privando i comuni di qualsiasi competenza in campo sanitario. Le Unità Sanitarie Locali (Usl) furono trasformate Aziende Sanitarie Locali (Asl), con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale, con il conseguente ingresso, nel settore sanitario, come in altri ambiti della pubblica amministrazione, di logiche tipiche delle aziende private, come l'attenzione ai costi, ai risultati ed alla qualità dei servizi garantiti ai cittadini. L’organo collegiale di governo, il comitato di gestione, venne sostituito da una figura monocratica, il direttore generale. Fu prevista la separazione dalle Asl degli ospedali maggiori, che si costituirono in aziende autonome, remunerate a prestazione. Si incentivò l’ingresso del mercato nel settore della sanità, si promosse la competizione non solo tra sanità pubblica e sanità privata, ma all’interno dello stesso settore pubblico. Un cambio di politica, quest’ultimo, figlio del contesto globale, che aveva visto la vittoria, in campo economico, del neoliberismo. Vittoria che invase anche questo campo, favorendo la privatizzazione e la concezione di una salute come merce e fonte di profitto. Non a caso, tra le maggiori fonti di ispirazione della riforma sanitaria del ’92, vi fu quella che, l’anno prima, era stata varata nel Regno Unito da Margaret Tatcher, una delle principali rappresentanti del neoliberismo in economia.
La regionalizzazione e il trasferimento di competenze, se da un lato affidarono la materia ad un ente più prossimo al territorio e alle sue necessità, dall’altro fecero sì che la già debole sanità fosse meno uniforme a livello nazionale, con le regioni economicamente più deboli in svantaggio rispetto alle altre, e fosse soggetta ad appetiti politici talvolta poco chiari.
Ovunque, anche a Bitonto, le strutture ospedaliere iniziarono ad essere al centro di piani di riordino per il contenimento della spesa, di tagli, che negli anni a venire sarebbero diventati argomento estremamente ricorrente nelle cronache cittadine, che in più occasioni hanno raccontato e lamentato il forte depotenziamento del nosocomio bitontino.
Dal ’92 in poi si sono susseguite battaglie politiche tra territori e città che miravano a salvaguardare la struttura presente nei propri confini. Nell’ottica di queste nuove riforme e dei successivi piani di riordino ospedaliero fatti da destra e da sinistra, non servivano più tante piccole strutture, ma pochi grandi ospedali, più efficaci. E così, molte strutture vennero depotenziate, altre avvantaggiate, espanse, dando il via anche a lotte tra campanili che durano ancora oggi. Il nostro nosocomio, si avviò verso un depotenziamento, surclassato da strutture più moderne, più grandi, più decentrate e quindi con più capacità di espansione, sorte, nel corso del ‘900 a Bari e nei comuni limitrofi. A decretare l’indebolimento della struttura sanitaria cittadina anche l’esito fallimentare di alcune delle proposte che, nei decenni precedenti, avevano provato a dismettere l’ospedale bitontino e le strutture dei paesi viciniori, per favorire la costruzione di edifici più adeguati alle odierne esigenze.
«La prima – spiegò il “da Bitonto” nel luglio 2014 – fu avanzata negli anni ’80 e riguardava la costruzione della struttura nuova sulla via che collega Bitonto e Palombaio. La seconda, più recente, mirava alla costruzione di un nosocomio sulla via vecchia per Molfetta, che avrebbe accolto i cittadini di Bitonto, Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi».
Ineguagliabili bacini di voti, gli ospedali, infatti, iniziarono a diventare protagonisti delle diverse competizioni elettorali per la presidenza regionale. Iniziarono ad essere oggetto di promesse mantenute o meno, querelle tra fazioni politiche, disordinati piani regionali di riordino e campanilismi strumentali e controproducenti hanno, così, segnato anche la storia cittadina più recente. All’esigenza di razionalizzare la spesa, rendere più efficienti le strutture, attraverso una riconversione, faceva da contraltare il timore, spesso paventato ad hoc per motivi politici, di una totale chiusura.
Il processo di razionalizzazione continuò, poi, con il decreto legislativo 229 del 19 giugno 1999, firmato dall’allora ministro della Sanità Rosy Bindi. Il resto è storia che continua nei nostri giorni.