La Politica, ieri e oggi/I Radicali ci ritentano. Il referendum del 1993 e l'eliminazione dei finanziamenti pubblici ai partiti
Il tentativo di 15 anni prima era fallito. Ma i tempi erano diversi e l'ostilità ai partiti era maggiore. Anche a Bitonto
A 15 anni dal primo tentativo, nel 1993 si ritentò. E, questa volta, l’obiettivo venne raggiunto.
Stiamo parlando dell’abolizione dei finanziamenti pubblici ai partiti che, già nel 1978, era stato oggetto di un referendum abrogativo volto alla sua cancellazione. Erano, ricordiamo, anni particolari per l’Italia, la violenza brigatista era al suo culmine. Un diffuso sentimento antipolitico si era infiltrato nell’opinione pubblica. Sentimento fotografato sempre quell’anno, da Rino Gaetano con il celebre brano “Nun te reggae più”. Fu in questo clima che i Radicali misero in atto uno dei primi attacchi alla partitocrazia, provando. Fu, infatti, l’anno in cui i radicali provarono a rompere uno dei cardini su cui si poggiava il sistema dei partiti: quello dei finanziamenti pubblici, appunto. Accogliendo un’avversione ai partiti che ha da sempre accompagnato la storia italiana, sostenuti anche da Democrazia Proletaria, avevano provato ad abolire quanto stabilito con la Legge Piccoli che, approvata nel 1974, su proposta del democristiano Flaminio Piccoli, aveva concesso ai partiti politici finanziamenti pubblici annuali sia per l’attività dei gruppi parlamentari, sia per le attività propedeutiche dei rispettivi partiti, a condizione che questi avessero presentato un bilancio pubblico.
La legge prevedeva da una parte il finanziamento ai gruppi parlamentari – che dovevano dare il 95% delle somme ai partiti di appartenenza - e dall’altra il finanziamento dell’attività elettorale. La norma era stata modificata nell’81 e i finanziamenti furono aumentati.
La Legge Piccoli era nata anche con un altro fine. Con i finanziamenti pubblici, i partiti avrebbero avuto meno bisogno di pericolosi finanziamenti privati, alla base di fenomeni di corruzione e di influenze da parte dei potentati economici, in un periodo, come quello degli anni ’70, in cui, come abbiamo visto, il consenso verso i tradizionali partiti politici cominciava a scemare, insieme ai contributi degli iscritti. E in cui, il progresso nelle modalità di comunicazione imponeva costi sempre maggiori. La necessità di sovvenzionamenti statali per i partiti politici nasceva, poi, dalla consapevolezza delle disparità economiche e sociali tra le basi elettorali dei partiti politici. Le fasce meno abbienti della popolazione italiana, infatti, erano rappresentate da forze politiche che, con le sole risorse economiche proprie, non sempre riuscivano a mantenersi e a sostenere tutte le attività. E, quindi, si volle il finanziamento anche per un principio di uguaglianza di opportunità ed equo gioco di forze tra i partiti.
Il primo tentativo, però, si era rivelato un clamoroso fallimento per i radicali, reduci dal grande successo del referendum sul divorzio. Contrario era stato il 56,41% dei votanti, mentre, per il “sì” votò il 43,59%. A Bitonto, tuttavia, se pur di poco, erano stati gli abrogazionisti a raggiungere la maggioranza, con 10710 voti contro 10015. Ma, al di là del risultato, il referendum del ’78 era stata una prima dimostrazione della volontà di indebolire i partiti e di un’opinione pubblica che si faceva sempre più ostile ai protagonisti della politica italiana.
Ma, nonostante una diffusa disaffezione e una propaganda antipartitica sempre più forte, anche a causa della crisi economica che caratterizzò quel decennio, il tentativo, portato avanti dai radicali, fu bocciato dalla vittoria del “no”, segno di una legittimità ancora riconosciuta ai partiti dagli italiani.
Non fu così il 18 e il 19 aprile 1993. Quella legittimità che ancora persisteva 15 anni prima era stata spazzata via dalla fine della Guerra Fredda, da fenomeni di corruzione e dal clamore suscitato da Tangentopoli e da Mani Pulite, dal consenso crescente verso altre forme di aggregazione politica, dalla disaffezione in aumento e da una nuova egemonia liberale e neoliberista, che, iniziata dal decennio prima, aveva cavalcato quell’antipolitica presente da sempre, ma mai forte come in quel momento.
E, infatti, a votare a favore dell’eliminazione dei finanziamenti, chiesta sempre dai Radicali, fu il 90,25% dei votanti (l’affluenza fu del 76,98%, superando di gran lunga il quorum del 50% più uno). Solo il 9,75% difese la legge 195 del ’74. A Bitonto si recò a votare il 79,99% degli aventi diritto. Di questi, l’82,43% fu favorevole al quesito referendario. Una differenza abissale dai risultati del ’78, che testimonia l’aumento del sentimento antipolitico e antipartitico.
Vinse quindi il “sì”, che abolì il finanziamento ai partiti tramite i gruppi parlamentari, ma non i finanziamenti per l’attività elettorale, che anzi furono aumentati, per sopperire alle somme venute meno. L’argomento, quindi, continuò ad essere di attualità anche negli anni successivi, con tentativi di eliminare anche i restanti finanziamenti. Fino al 2013, con la decisione del governo Letta di abolire anche i rimborsi elettorali.
Fu l’ennesimo colpo a partiti politici ormai morenti. Non solo. Dettata dall’imperante demagogia antipolitica di quel momento, l’abrogazione dei finanziamenti, con la conseguente drastica diminuzione delle risorse pubbliche ai partiti, ha minato la tenuta del sistema democratico e parlamentare che si regge proprio sui partiti. Dando il via al fenomeno delle fondazioni in stretta connessioni con singoli politici o partiti, quale canale alternativo funzionale al finanziamento delle attività politiche. Fenomeno che ha portato, quindi, all’esigenza di garantire un maggior trasparenza nella raccolta dei fondi, per arginare una episodi di corruzione che persistevano nonostante la fine dei partiti. Ennesima dimostrazione della miopia di una propaganda che vedeva le cause della corruzione nella presenza stessa dei partiti, nella loro forza, e non nella loro debolezza, come era in realtà. I partiti furono il capro espiatorio di una retorica interessata alla loro eliminazione.
Quello sui finanziamenti non fu l’unico referendum ad essere sottoposto al vaglio popolare nell’aprile del ‘93. Ce ne furono altri 7, di cui 4 proposti sempre dai radicali. Il primo era finalizzato all’abrogazione delle norme sui controlli ambientali effettuati per legge dalle Usl e, quindi, a sottrarre al Servizio Sanitario Nazionale la competenza su quell’ambito. Anche qui il “sì” stravinse con l’82,57% (79,13% a Bitonto) ed ebbe l’effetto di trasferire la competenza sui controlli ambientali alle agenzie regionali per la protezione ambiente (cosa che rispondeva sempre ad una logica di diffidenza verso la politica centrale nazionale). Secondo quesito aveva l’obiettivo di abrogare le pene previste la detenzione ad uso personale di droghe. Qui, il fronte dei favorevoli fu molto meno ampio, ma la vittoria del “sì” fu del 55,36% (50,22% a Bitonto).
Terzo quesito era il già discusso punto sui finanziamenti pubblici ai partiti, mentre il quarto puntava ad abrogare le nomine ai vertici delle banche pubbliche. I favorevoli furono l’89,90% (80,75% a Bitonto).
Il quinto quesito era promosso dal Comitato per la Riforma Democratica ed era finalizzato alla soppressione del ministero delle Partecipazioni Statali. I “sì” furono il 90,11% (81,23% a Bitonto).
Il sesto punto, proposto dai Radicali e da Mario Segni, puntava all’abrogazione di parti della legge elettorale per il Senato. L’intento era di abrogare il proporzionale, per poi spingere all’introduzione di un sistema maggioritario. Anche qui vinse il “sì” con l’82,74% (75,56% a Bitonto). Ma su questo argomento ritorneremo nel prossimo appuntamento, in quanto meritevole di maggiore attenzione.
Settimo punto era la soppressione del ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, voluta dalle regioni Trentino-Alto Adige, Umbria, Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia, Marche, Basilicata, Toscana, Emilia-Romagna, Veneto. Vinse il “sì” con il 70,23% (59,23% a Bitonto).
L’ultimo punto, sempre voluto dalle suddette regioni, voleva la cancellazione del ministero del Turismo e dello Spettacolo. Il “sì” raggiunse l’82,38% (71,16 % a Bitonto).