La Politica, ieri e oggi/Le associazioni di categoria e l'anticomunismo della Coldiretti

Dall’80 al ’93 fu presidente il bitontino Arcangelo Lobianco, già deputato e senatore in diverse legislature, per la Democrazia Cristiana

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Abbiamo già parlato, in questa rubrica, dei sindacati, le associazioni in difesa dei lavoratori subordinati, nati come organizzazioni collaterali ai partiti politici, nonostante, con gli anni, hanno sempre più perso quel legame. Ma a rappresentare il mondo del lavoro non esistono solo i sindacati. Esistono anche organizzazioni che hanno l’obiettivo di rappresentare e tutelare i datori di lavoro, che difendono gli interessi di chi esercita un’attività economica, all’interno delle varie categorie produttive o professionali: le associazioni di categoria, associazioni dei datori di lavoro, atte ad assistere gli associati nei rapporti con le controparti, come ad esempio enti pubblici, istituzioni in generale e sindacati, oltre che ad erogare servizi di assistenza e consulenza. Ci sono associazioni di categoria per tutte le categorie esistenti di attività economica, spesso, che spesso fanno parte di raggruppamenti più grandi, confederazioni.

Le prime organizzazioni degli imprenditori nascono a fine XIX secolo, allo scopo di aggregare gli associati, ottenere riconoscimento e legittimazione e costruire canali di comunicazione con il decisore pubblico. Quando, con l’ascesa del fascismo, i rapporti tra organizzazioni degli imprenditori e Stato si consolidarono, queste organizzazioni e le confederazioni di cui facevano parte, appoggiarono spesso il regime, vedendo in esso un mezzo per contrastare e reprimere i sindacati degli operai e restaurare un ordine sociale che era stato sconvolto da gravi conflitti sociali. Una di queste fu Confindustria, che, con il Patto di Palazzo Vidoni, stipulato nell’ottobre ‘25, riconobbe il ruolo esclusivo della rappresentanza dei lavoratori ai sindacati fascisti.

Con l’avvento dello stato repubblicano, le associazioni degli imprenditori, come anche i sindacati, furono ricostruiti e cominciarono ad operare nel quadro istituzionale del nuovo Stato democratico, che si impegnò a garantire, per quanto riguarda le relazioni industriali, libertà di associazione e di contrattazione collettiva.

Essendo il territorio bitontino e pugliese a vocazione prettamente agricola, un ruolo preponderante è stato storicamente svolto dalle associazioni operanti nel settore agricolo, come Coldiretti, la maggiore associazione di rappresentanza del mondo agricolo, di cui, dall’80 al ’93 fu presidente il bitontino Arcangelo Lobianco, già deputato e senatore in diverse legislature, per la Democrazia Cristiana. Storicamente Lobianco è stato il secondo presidente dell’associazione degli agricoltori, dopo Paolo Bonomi, fondatore, oltre che deputato dell’Assemblea Costituente e poi della Camera, sempre per la Dc.

La Coldiretti, nata nel 1944 per difendere gli interessi degli agricoltori proprietari possedeva una propria testata giornalistica, tra cui il quindicinale “Il Coltivatore” e scuole di formazione per la professione agricola. L’ideologia era fortemente anticomunista, come si apprende anche da alcuni documenti conservati nel Museo Diocesano di Bitonto. Documenti che riportano le dichiarazioni pronunciate dallo stesso Bonomi in un convegno nel ’59 e che rimarcano i tre “vessilli” alla base dell’azione della Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti.

Il primo vessillo è l’ispirazione ai valori della scuola cristiano-sociale. L’ideologia alla base dell’associazione, infatti, era fortemente ispirata alla tradizione cristiana, tanto che, nella struttura organizzativa, c’erano anche consiglieri ecclesiastici.

Il secondo vessillo è l’anticomunismo. «Quando siamo nati abbiamo innalzato la bandiera dell’anticomunismo e non l’abbiamo mai ammainata, né intendiamo ammainarla» recita il documento, con cui l’associazione si autodefinisce baluardo contro il comunismo: «Il Partito Comunista ha tentato più volte di far breccia tra i lavoratori, seguendo le direttive di Marx, il quale affermava che, per conquistare il potere, premessa indispensabile è la realizzazione di un fronte unico di operai e contadini. Questo fronte unico non è stato possibile, fino ad oggi, in Italia e il merito di questa mancata realizzazione spetta esclusivamente alla Coltivatori Diretti».

Uno dei tentativi di cui parla il documento è il potenziamento, in seguito al successo comunista delle elezioni del ’53, dell’Associazione Nazionale Coltivatori Diretti, un’associazione sindacale che «tatticamente si presenta in forma autonoma, mentre e diretta dal Pci», come avverte la Coldiretti, e che ha come programma la difesa della piccola proprietà coltivatrice e l’assistenza alle famiglie rurali. È aderente alla FederTerra, organizzazione sindacale contadina di ispirazione socialista nata nel 1901, soppressa dal fascismo e risorta nel dopoguerra, per poi confluire nella Cgil. Era attiva specialmente in Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia e promosse molte battaglie per migliorare la vita nei campi dei lavoratori, come quella per la riduzione degli orari di lavoro, per la paga oraria e, in generale, per i miglioramenti nei contratti collettivi.

«La Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti, di ispirazione cristiana, ha avvertito subito l’opera dei comunisti, nei confronti dei coltivatori diretti – riporta un altro documento, sempre conservato nel Museo Diocesano – Fin dall’8 agosto 1953, con circolare riservata, richiamava l’attenzione delle Federazioni Provinciali sull’attività dei comunisti, invitandole: a vigilare sulla stessa, nell’ambito di ogni singola provincia, a sviluppare la propaganda con bollettini locali (oltre al già citato quindicinale “Il Coltivatore” organo di stampa ufficiale, esistevano tanti bollettini provinciali, ndr), ad istituire i Gruppi Donne Rurali e Giovani Coltivatori, a costituire le Mutue Volontarie per l’Assistenza Malattia».

Il terzo vessillo individuato da Bonomi nel documento, infine, è il «costante e pieno appoggio alla Democrazia Cristiana», come riporta l’intervento di Bonomi, che aggiunge: «Siamo sempre scesi in campo con la Democrazia Cristiana nelle battaglie elettorali e possiamo affermare di aver dato un contributo di 4-5 milioni di suffragi».

E ancora: «…abbiamo ritenuto non un diritto, ma un dovere essere anche presenti nella vita di Partito. Era necessario portare in seno al partito la voce di milioni di coltivatori che votano per lo Scudo Crociato».