Tra Mandela e Martin Luther King, Kennedy e Moro. Walter Veltroni ovvero della buona politica

Prima (bella) lezione per la scuola di formazione politica “La Città dell’Uomo”

Stampa l'articolo

Che il direttore de l’Unità dei primi anni Novanta non fosse un mero portavoce di partito, ma un giornalista lungiveggente lo dimostrava il fatto che realizzasse un quotidiano tutto da leggere e, per primo, facesse uscire a panino con la sua creazione album di figurine, libri e videocassette.

Piccoli gesti di grande cultura per una rivoluzione silenziosa.
La nostalgia intesa come memoria che vivifica il presente.

Dunque. Qualche sera fa, sul palco del Teatro Traetta, quel giornalista lì,Walter Veltroni il suo nome – che, nel frattempo, è stato segretario di partito, mutato da PCI a Pd, passando per Pds e Ds, vicepresidente del consiglio e sindaco di Roma – ha tenuto la prolusione iniziale della scuola di formazione politica “Città dell’uomo”.

Una lezione coinvolgente e catturante, che ha fatto riflettere i presenti - specie se attenti per davvero e scevri da pregiudizi di schieramento - sulla contemporaneità ferita, inquinata, ammorbata.

Esattamente l’obiettivo che si prefigge il sodalizio al principio di ogni biennio.

Il greco Solone parlava di “eunomia”, la capacità di dare buone leggi ad una polis, evitando ingiustizie e abusi di potere. E Veltroni ha parlato di bene e male, della cattiva politica che genera mostri e di quella buona che li vince, riscattando l’umanità. “Perché di politici che rubano ce ne saranno sempre. Ma il nostro compito è trasmettere passione ed emozioni

Egli stesso, involontariamente, s’è posto come modello positivo, avendo interpretato il suo ruolo quasi mai in maniera settaria e leggendo il suo ormai cinquantennale impegno come un intreccio di preziosi, decisivi incontri dai quali suggere il segreto della vita per una visione panoramica che valichi i ceppi della cronaca per fare d’ogni piccolo gesto una traccia nella Storia. “La nostra esistenza è un viaggio ininterrotto animato da curiosità, è un sistema stellare. E non ha senso restare isole, ma dobbiamo avere la forza di diventare arcipelago”.

I primi passi, la guerra in Vietnam: “A tredici anni stampavo e divulgavo volantini a favore del popolo vietnamita, invece di andare a divertirmi in discoteca come tutti i miei amici”.

L’esempio luminoso: Nelson Mandela. “Un uomo di grande carisma. Dopo essere stato 28 anni in carcere ed aver sofferto la discriminazione dell’apartheid, ha rifiutato qualsiasi baratto per le idee e la libertà ed ha avuto la forza di cambiare il Sudafrica insieme al presidente De Klerk, combattendo sia il dominio dei bianchi sia il dominio dei neri, senza covare rancore e creando addirittura nei villaggi i tribunali della riconciliazione. Vestiva sempre abiti di colore sgargiante per donare un sorriso a chiunque lo incontrasse”.      

Gli orrori dell’umanità generati dalle ideologie assassine del Novecento. Il fascismo e il comunismo. Il nazismo e la macchina dello sterminio del popolo ebraico. Il nonno sloveno venduto per 5 mila lire dal proprietario della pasticceria di fronte, torturato e morto l’anno successivo. Le fosse comuni degli anni Novanta del secolo scorso tra Ruanda, Serbia e Croazia. La Cecenia. I Curdi.

Lo scrittore romano narra, rivolgendosi soprattutto ai ragazzi: “Possiamo cambiare il corso della storia solo se ci prendiamo in carico gli altri. Abbiamo l’obbligo di sentire il desiderio degli altri, come mi confessò Elie Wiesel, altro sopravvissuto ai lager. Ripensiamo al sogno di Martin Luther King, che era politica e gospel insieme. Il coraggio di John Fitzgerald Kennedy e suo fratello Bob, che cancellarono il razzismo. I ragazzi americani che vennero in Europa andando incontro alla morte in nome della democrazia. Il compromesso storico pensato da Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, il leader democristiano rapito e ucciso dalle Br e quello comunista che cominciò a morire proprio il giorno dell’agguato di via Fani. Sono tutti eroi della buona politica che è in grado di muovere da ideali alti e per questo rivoluzionari”.

La conclusione è da intellettuale saggio che non si sottrae all’incontro con gli aspetti più variegati della galleria umana che è la nostra vita: “Oggi, il pronome più declinato è “io”. Non c’è più nessuno che parla di “noi”. L’individualismo è contrario al concetto di comunità. E le stagioni dell’io conducono, spesso, alle guerre. Lo so che, durante i periodi di crisi e recessione, di solito avviene un ripiegamento su sé stessi, ma dobbiamo avere il coraggio di uscire fuori e fare nostro il motto di Don Lorenzo Milani “I care”. Bene diceva Antonio Gramsci quando scriveva “odio l’indifferenza”. Prendiamo due trasmissioni televisive molto seguite dai giovani: Grande Fratello e X Factor. Nel primo vinci se non sai far nulla e usi la furbizia per eliminare l’altro. Nel secondo, se hai talento, ma solo se lo si scopre in tv. Anche su facebook possiamo avere migliaia di amici, ma, poi, in concreto chi ci è davvero accanto? Recuperiamo il concetto di Paese, dove tutti, ma proprio tutti debbano fare sacrifici e rinunce e le ricchezze siano ripartite equamente, facendo salva la meritocrazia. La bellezza è essere comunità realmente”.