I barbari nel villaggio della tonalità

Nella scorsa puntata ho accennato ad uno degli elementi, la ripetizione, alla base della  buona riuscita di un brano musicale. Parliamo oggi di uno dei fondamenti del linguaggio musicale, una sorta di bussola cui tutti noi, più o meno consciamente, facciamo affidamento: la tonalità

L'origine di questa parola è da ricercarsi all'alba dei tempi, tónosindica infatti in greco antico la corda che si tende per ottenere un suono (cfr. il verbo téinein, tendere), quindi la tensione della stessa e poi ancora la scala musicale e l'accento ritmico. 

Col tramite del latino tonusil concetto è passato poi nelle lingue europee, mantenendo la sua accezione prettamente musicale di suono determinato (cfr. tedesco Ton, italiano Tono, francese Ton) e sfociando metaforicamente in espressioni che indicano un'accordatura extramusicale, ossia una giusta gradazione di qualcosa, come bon ton,darsi un tono ecc... Tonalità, quindi, non è altro che una maniera di organizzare il materiale musicale facendolo gravitare attorno ad un tono, in gergo tecnico tonica. Ecco perché si parla di toccate in Re, ricercari in La, fantasia in Sol e via dicendo, ossia pezzi che si sviluppano seguendo le scale e gli ambiti della nota di cui portano il nome. 

Le regole della tonalità sono particolarmente intuitive e ci permettono di prevedere piuttosto agevolmente se un inciso musicale stia per terminare oppure rimanga in sospeso, o addirittura quale nota stia per essere suonata. Naturalmente il percorso abituale di una composizione tonale è sempre un po' più accidentato, nella stragrande maggior parte dei casi si toccano più centri di gravità, ossia più tonalità, di cui una sola però, quella principale, sarà presente sia all'inizio che alla fine: immaginate un viaggio sonoro in cui punto di partenza e meta coincidono, chiudendo un cerchio ideale. 

E ci sarebbe ora da parlare di Zarlino, Rameau, Werckmeister, Bach e di tutti quei musicisti e teorici che hanno contribuito a plasmare questo concetto, ma l'argomento è troppo grande e complesso da affrontare adesso. Perdonatemi anzi l'aver indugiato su nozioni tecniche, ma era essenziale però per comprendere il nocciolo della questione odierna. Andiamo però con ordine.

 

A cavallo tra Ottocento e Novecento, il sistema tonale aveva iniziato, con autori come Wagner, Liszt, Brahms, Debussy, Strauss, Stravinskij ecc... a percorrere sentieri sempre più tortuosi e di difficile comprensione, complicandosi ed aggrovigliandosi su se stesso: il passaggio molto rapido da una tonalità all'altra e l'utilizzo di più tonalità contemporaneamente rendono il discorso musicale più instabile e meno scorrevole rispetto ai secoli precedenti. Nella storia della musica si parla didissoluzione della tonalità, definizione che mi lascia personalmente interdetto. Come si può dissolvere qualcosa che invece si infittisce e si evolve? È come se si accusasse James Joyce ed il suo stream of consciousness di distruggere completamente la grammatica. 

E se in Joyce, nonostante l'assenza di punteggiatura, si possono distinguere ancora chiaramente verbi, soggetti e complementi, anche nelle opere degli autori sopra citati si possono ancora riconoscere chiaramente gli elementi del linguaggio tonale, della cui grammatica non hanno fatto altro che esplorare le possibilità, rendendo sì più difficile l'orientamento di chi ascolta, ma non privandolo completamente di punti cardinali. Di ben altro avviso doveva essere Arnold Schönberg (1876 – 1951), compositore austriaco che nel 1923 teorizzò la cosiddetta dodecafonia, ossia un sistema di composizione in cui ognuno dei 12 suoni della scala cromatica ha la stessa identica importanza e non si può ripetere una note in una voce prima che si siano sentite le altre dodici, cassando di fatto qualsiasi punto di riferimento per l'orecchio. 

Musica quindi bella a vedersi, costruita con la logica ferrea di un sudoku, ma indistinguibile ad orecchio nudo da qualsiasi altro esperimento fuor di tonalità.

 

Immagino che sia difficile immaginare tutto questo per chi non pratica musica, propongo quindi degli esempi in lettere. Una composizione nel pieno periodo tonale può suonare come questi celeberrimi endecasillabi danteschi, in rima e dalla sintassi semplice ed immediata:


Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

[...]

 

Una composizione invece che si allontana dal sistema tonale può essere ben rappresentata da qualche verso di Eugenio Montale, ad esempio:

 

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

[...]

 

Qui metrica e numero di sillabe non sono fissi, il linguaggio si fa estremamente allusivo ed icastico, mentre permane la rima a sostegno di una forte musicalità. Se dovessimo, infine, applicare invece le regole della dodecafonia alle lettere dell'alfabeto, ne uscirebbe qualcosa del genere:

 

qpwue rtyuo, mlnk jbaz

xsbhdc vfg qp: wue rttttttt

yuuo ml n k...! J, baz?

Xsbhd! Ccccc! “Vf”, g.

 

Ecco, immaginate, mutatis mutandis, cosa è accaduto in musica con l'abbandono forzato della tonalità.

 

In realtà esperienze atonali non furono perseguite dal solo Schönberg, ma anche in precedenza da Skrjabin, Liszt e Reger. Il compositore austriaco però è stato l'unico ad aver avuto sèguito sulla strada che s'allontana e diverge drasticamente dalla tonalità e dalla tradizione[1]. Ecco perché il suo nome è legato indissolubilmente alla nascita ed allo sviluppo della musica contemporanea. E come se per costruire qualcosa di nuovo si debba necessariamente abbattere ciò che è stato prima, anche il povero Arnold, dopo aver seppellito anzi tempo la tonalità, ha dovuto subire – ad appena un anno dalla morte – lo scempio della propria eredità musicale al grido di “Schönberg è morto!”, titolo di un dissacrante saggio di Pierre Boulèz del 1952.

 

Ma la tonalità è davvero morta? E cosa è accaduto alla musica “classica”?

A partire dagli allievi di Schönberg in poi, Anton Webern e Alban Berg, fino alla scuola di Darmstadt ed alle avanguardie contemporanee, si è imposto un modo di far musica bello a vedersi, con composizioni che assomigliano a quadri d'arte moderna (vd. immagine), ma sgradevoli all'udito ancor prima che all'ascolto. Tant'è che, a parte i ghetti dei festival di musica moderna, cosa è entrato di tutto questo nei repertori stabili dei teatri di tutto il mondo? Chi ascolta musica del genere, se non chi la produce? Lascio a chi legge l'arduo compito di trarre le proprie conclusioni. E proprio come in una migrazione di massa – riprendendo un'immagine di Alessandro Baricco[2] – gli antichi insediamenti del popolo tonale sono stati occupati da altre genti, barbari agli occhi dei classicisti, ed ora si chiamano Rock, Pop, Metal, Canzone d'autore, Musiche di scena o da film e chi più ne ha più ne metta. Il pubblico ha scelto, il dado è tratto: la tonalità è ancora viva.


[1]     N. B.: Anche se il suo nome è legato alla dodecafonia, Schönberg non ha utilizzato questo sistema per tutta la sua vita, pur muovendosi perlopiù in direzione contraria alla tradizione. Da ricordare inoltre che le sue maggiori opere didattiche afferiscono al mondo della tonalità.

[2]     Cfr. Alessandro Baricco, I barbari. Saggio sulla mutazione (2006)