Il violino di Bach

La musica non è mai uguale a se stessa. Senza troppo filosofeggiare, come tutte le arti performative, essa è strettamente collegata all'interprete, alla sua sensibilità ed ai mezzi che la sua epoca offre: può bastare appena un anno di tempo, appena un'innovazione tecnica o anche un uso diverso degli stessi mezzi per ottenere un risultato diverso. Basti pensare che la musica di Johann Sebastian Bach, quasi dimenticato subito dopo la morte (1750), è stata riscoperta nel 1829 grazie ad un'esecuzione della Passione secondo Matteoabbreviata e rimaneggiata ad uso, gusto e consumo della società dell'epoca per mano di Felix Mendelssohn-Bartholdy. Di conseguenza è ovvio che la musica di Bach (o di qualsiasi altro musicista del passato) che ascoltiamo oggi è sensibilmente differente da come doveva suonare ai tempi della sua composizione. In particolare, come abbiamo visto con Mendelssohn, era inveterata la pratica di adattare i lavori scritti in precedenza al gusto moderno, alterando alle volte anche gli strumenti orchestrali.  

Tentativi di fedeltà nei confronti della musica antica si sono avvicendati già a partire dalla fine del 1800, con l'introduzione del concetto di autenticità da parte di Arnold Dolmetsch. Questi, però, spesso erano semplicemente reazioni contrapposte al tardo romanticismo dell'epoca, spesso privi di solide ricerche storiche alle spalle e perseguiti con una certa libertà interpretativa. Si ascolti, ad esempio, l'interpretazione di Wanda Landowska delle Variazioni Goldberg di Bach, che seppure ha il merito di aver eseguito – per la prima volta in tempi moderni – questo brano sul suo strumento originario – il clavicembalo – non è scevra di antistoricismi.

Col passare del tempo, ed in particolare tra gli anni '60 e '70 del Novecento il concetto di autenticità ha lasciato il posto a quello di esecuzione storicamente informata. Il risultato è stato una maggiore scientificità della prassi esecutiva della musica antica, sostenuta da profonde analisi storiche e dal ricorso a copie di strumenti d'epoca. I protagonisti di questo movimento sono stati, tra gli altri, il recentemente scomparso Nikolaus Harnoncourt, Luigi Ferdinando Tagliavini e Gustav Leonhardt, del quale, per un confronto con la Landowska, propongo in questa sede l'interpretazione delle Variazioni Goldberg.

Si faccia ora però attenzione: la musica non è una scienza, ma un'arte. Scopo precipuo dell'arte non è il “corretto” o il “giusto” modo di suonare, ma il bello. Ciò significa che, sebbene oggi ci sia un diverso (e maggiore!) grado di consapevolezza rispetto all'esecuzione della musica antica, nulla vieta di prestarsi a quelle che sono interpretazioni belle ma infedeli[1]. Per avere un terzo termine di confronto, propongo questa bellissima interpretazione delleVariazioni Goldberg per le mani di Glenn Gould. Con l'avvento dell'esecuzione storicamente informata, naturalmente, non si può non tener conto dei notevoli passi in avanti fatti dalla ricerca storica e filologica in campo musicale. Si potrebbe però condannare a cuor leggero Glenn Gould per aver suonato sul pianoforte un pezzo per clavicembalo? O parimenti bisogna condannare tutti quelli che suonano Bach su un violino moderno? Non usare il violino di Bach è davvero un peccato mortale o questione di gusti?

Arrivato a questo punto, sarei curioso di conoscere anche la tua opinione, mio buon lettore: quale delle Variazioni ti piace di più?

 


[1]      Definizione usata originariamente da Benedetto Croce, nella contrapposizione di traduzioni belle ed infedeli a traduzioni brutte e fedeli.