"Sport e Vita" - Lillino Chiddo ovvero il calcio bitontino ai tempi della purezza

Il ricordo ad un mese dalla scomparsa. Fu il simbolo del pallone neroverde dopo Michele D'Acciò

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C'erano una volta le foto in bianco e nero.

Non avevano i colori, ma solo la luce e il buio.

Il giorno e la notte.

Il tutto e il nulla.

Esattamente quello che fa la vita dei ricordi. Nonostante il tempo provi ad ingiallirle ed accartocciarle come le foglie, non c'è niente da fare, perché eterna è la memoria del cuore.

Dunque. In principio, il calcio a Bitonto fu Michele D'Acciò, detto "U Taur", come i giocolieri brasileiri, anche i nostri avevano sempre un nomignolo figlio di battesimo popolare.

Quella montagna d'uno mi raccontò la sua avventurosa esistenza in una sera di piovosa nostalgia.
Il cappellino con la visiera all'indietro, un volto largo e franco, parlava e piangeva…

La sfida tra Polacchi e Inglesi arbitrata con fischio equanime che gli lucrò un pallone di cuoio - eh sì, la sfera era cucita, allora, con una spessa stringa che teneva coesa la bitorzoluta rotondità.
I primi scarpini carezzati e comprati da quel commerciante, che, nella bottega di via Mercanti, millantava d'essere il nipote nientepopodimeno che di Raimundo "Mumo" Orsi, oriundo fuoriclasse della Juventus pluriscudettata e della Nazionale mondiale.
E poi le partite alla "Guglie" (l'obelisco che campeggia dinanzi alla Basilica dei santi medici, che allora non esisteva), primo spiazzo sterrato che presto si trasformò in rettangolo di gioco.

Al bordo del campo di battaglia, si assiepavano curiosi e appassionati, divorati da quel desiderio invincibile di pace che nasceva nelle anime straziate dalla seconda guerra mondiale.

Mano nella mano del papà, tra quella gente assetata di pace, un bimbo dallo sguardo purissimo scrutava quel colosso invalicabile per carpirne i segreti.

E sognava di diventare pure lui un fiero calciatore neroverde.

Già, quei colori che forse venivano dalla serenissima Venezia e ti entrano nel sangue: il nero della notte più misteriosa e il verde delle foglie dei dolenti ulivi.
La loro storia, avrete capito, cari lettori, è un gomitolo fascinoso di destini.

Quel bambino era Michele Chiddo per tutti Lillino.
A differenza del leonino sportsmanD'Acciò, egli sarà pedatore stiloso e liliale.

Credo che, galantuomo com'era, non avrà mai fatto un fallo in vita sua. Guardate l'istantanea che ce lo ridona elegante, in posa accanto ad un palo squadrato e davvero ligneo, sopra un deserto pietroso e muri scalcinati di case in lontananza. Il cielo doveva essere azzurro e bellissimo come la sua giovane anima. Dissolvenze del calcio dei pionieri.

Giocò con Michele Pierro soprannominato "U Sguizz", perché non lo afferrava nessuno lungo la corsia prediletta, si favoleggiava che certe domeniche giocasse a piedi nudi, perché aveva le ali.

Ebbe allenatore Francesco Capocasale, che era stato letteralmente il primo numero dieci della Vecchia Signora, perché, giunto lui a Torino, la Federazione impose il contrassegno aritmetico di tra le scapole - che si stupiva nel vedere i nerboruti calciatori bitontini sfidarsi a sparar campanili infiniti nell'azzurro del meriggio meno pallido e assorto possibile.

Ma ecco ancora l'intreccio malioso di fati, che nessuno mai potrà districare.

Crebbe nel mito di Chiddo un altro asso del cuoio, che per giovanile errore non sfondò: Tonino Sblendorio. Baffo arguto ed occhi che ti squadrano, rimembra ancora: "Lillino era un grande davvero. Tecnica, velocità e signorilità erano le sue caratteristiche peculiari. Eppoi era un uomo di sport a tutto tondo, visto che a cavaliere fra gli anni Settanta e Ottanta è stato pure il numero uno del tennis bitontino. A proposito, mi è dispiaciuto non vedere manco un manifesto del Circolo il giorno della sua morte". Ed il rammarico del prof è il nostro.     

Ora, ne siamo certi, D'Acciò, Pierro e Chiddo saranno lassù con gli amici dell'età più bella a dribblare le nuvole.

In fondo, si chiamavano tutti e tre Michele. Come gli angeli. Rigorosamente in casacca neroverde…